COS’È IL VESTITO DEL POETA?
Note a margine di una tournée poetica
di Antonio Bertoli
Pubblicato sul blog il 28/12/2024
Antonio Bertoli (1957-2015) è stato un autore, un poeta, un uomo di teatro carismatico, un docente universitario, un autentico esploratore dell’anima e del linguaggio. Figura eclettica e profondamente ispirata, Bertoli ha dedicato la sua vita alla ricerca della parola come veicolo di verità, emozione e trasformazione. La sua scrittura, spesso descritta come visionaria, combina intuizione poetica, riflessione filosofica e un profondo legame con la dimensione spirituale.
Figura artistica e intellettuale di primo piano nel panorama italiano, Bertoli ha collaborato con diversi artisti e personalità culturali (da Fernando Arrabal a Roland Topor, da Alejandro Jodorowsky ad Antonio Tabucchi). Nel 1996 ha fondato a Firenze City Lights Italia, libreria e casa editrice vocata alla poesia, insieme a Lawrence Ferlinghetti, mito della beat generation americana.
Negli ultimi anni della sua vita, Bertoli era riuscito anche a fondere la sua vena artistica con un’altra sua passione, la nuova medicina di Hamer, che ha fuso con la psicoanalisi transgenerazionale fondando la psicobiogenealogia, di cui ha tenuto stage in Italia e all’estero.
Tra le sue opere, Il vestito del poeta emerge come un testo unico nel panorama letterario contemporaneo, un viaggio dentro l’essenza stessa del fare poesia. Bertoli non si limita a parlare del poeta come figura creativa, ma lo veste di significati universali, trasformandolo in un simbolo della condizione umana: un tramite tra mondi, una guida capace di interpretare il visibile e l’invisibile. Un testo che non si limita a essere letto, ma chiede di essere vissuto, respirato e meditato.

Pur illuminati da un grande fuoco, il buio e l’oscurità tardano ad andarsene, non se ne vanno che lentamente e controvoglia: l’uomo fonda da sempre la propria sicurezza su tali questioni e non sul concetto di bene e di male.
Non solo il giorno è sempre pronto a sorgere e non aspetta altro che passi la notte, ma la vita stessa non ha altra forma che quella del letto di stelle da cui ci si alza e della tovaglia imbandita del giorno che ci riporta poi allo stesso meraviglioso letto. Il resto sono solo scalfitture del vento.
Il vestito del poeta: dal giorno in cui ho iniziato a vivere coscientemente, questa frase mi ha accompagnato come un refrain. Il vestito del poeta: quello che portano gli uomini liberi, e proprio a possederne e a indossarne uno tutti vogliono arrivare.
Cos’è il vestito del poeta? È semplicemente il momento in cui si lascia la piazza dove sfila il mondo, quando bisogna ritrovarsi senza i viali e i palazzi e gli alberi della giornata rosicchiante, senza le mille scatole da riempire del giorno, quando bisogna lasciare il grande vuoto dove comunemente si alloggia.
Si tratta di non ridiscendere più. Di non umiliarsi, forse. Di non ritrovare più la propria sconfitta, quella quotidianità su cui troppo spesso inciampiamo.
Il vestito del poeta… Si comprano calzini e mutande in un qualche negozio o grande magazzino, si parte per Parigi o per Canicattì o per Rio, si parla di poesia, di calcio, di donne, si va in macchina, si beve un caffe. Si va in viaggio per giorni passando da Madrid e dalla Luna, da Firenze e da Tokyo, si assiste a conferenze, si leggono libri, si mangia a tavoli rotondi e rettangolari; la fiera della vita, la televisione, qualcuno arrestato, un paese senza padri, con padri castrati, l’esercito che dovrebbe dedicarsi all’agricoltura e soprattutto coltivare il deserto, il pesce d’estate, il caldo, il mare, la politica, la natura, il lavoro. E Roma, Venezia, Firenze, Bruxelles, Napoli, Palermo, Berlino, Parigi, New York…
Il vestito del poeta: è sempre la difesa e al tempo stesso l’attacco, il nostro vestito per abbandonare la famiglia, quei parenti celesti, per tornare tra gli estranei che si dicevano nostri amici e non ci conoscevano.
Ci guardiamo intorno tutte le sere, tutti i giorni, d’un tratto contenti nei nostri vestiti. La giornata non ci ha preso come un autobus prende il suo quotidiano carico di passeggeri. Ancora una volta siamo qui, in questo luogo, e siamo comunque in viaggio.
In viaggio: in questo luogo ma in viaggio, perché ogni volta ci fermiamo per poi subito allontanarci. Essendoci sempre, però, sempre, nel nostro vestito del poeta, nella nostra costante presenza, con un abito che è ormai la nostra pelle. Che è ormai noi stessi.
Nel frattempo ci si domanda in quale maniera possiamo rientrare in paradiso, meditando l’evasione senza lasciarci né piegare né convincere, costantemente riformandoci intatti e accresciuti, presi nel vortice della danza della realtà (perché la realtà è davvero una danza).
Ogni mezzo e pretesto sono buoni. Non abbiamo bisogno di oppio, mescalina, coca. No. Tutto è droga per chi vive solo qui e ora.
L’attenzione emotiva, il risveglio. Solo questo.
Attaccando il cuore con grossi chicchi di caffè o semplicemente con la fatica, con l’immaginazione o col fluido intenso del desiderio, spicchiamo il volo nel nostro vestito. E così possiamo osservare il mondo degli oggetti immobili, che ora iniziano a cantare. Gli oggetti e gli uomini. Palazzi che cominciano a disincagliarsi come battelli dalle secche, tra le volte dei monumenti angeli che si mettono a oscillare lentamente, soffitti che si abbassano spesso senza più risalire e volti rivelati dai nostri che ci osservano dovunque, in ogni città.
Le tempie cantano forte, le vele interiori si spiegano.
E così in ogni momento, in ogni posto e in ogni città: il vestito del poeta, una bellissima tempesta da cui si ascolta il Mondo, come suono veramente. Lo si vede così com’è, essenzialmente d’un bel colore azzurro mescolato al blu.
Si è nella traiettoria, si insegue vertiginosamente qualcosa che c’è già, che è già qui senza rete e senza ponti perché nel vortice non si dà rete né ponte, mai. E la vita ha tutto un altro senso davvero. La vita ha tutto un altro senso e adesso ognuno sta dietro un’altra candela. Isolati in corazze di brividi e nella calma perfetta che precede le apparizioni si aspetta la rivelazione. Che viene oppure no, dipende da altro.
Si distruggono le ultime impalcature del senso comune, di quella umiliazione meschina chiamata quotidianità. E così il vestito del poeta diventa un grande costruttore. Senza muovere un dito diventa un grande avventuriero. Perché bisogna saper precipitare e risalire senza bersaglio né mira, nel semplice gioco della pietra che rotola.
Dopo un momento appena, torna da molto lontano: questo è il tempo.
Questa la poesia, il vestito, il vestito del poeta.
Perché il passato e il futuro sono solo due ladri che ci rubano il presente.

L’articolo che hai appena letto è la prefazione del libro IL VESTITO DEL POETA di Antonio Bertoli, edito da Spazio Interiore nel 2014. Lo puoi acquistare QUI.