IGOR SIBALDI SU CARLOS CASTANEDA
Intervista a Igor Sibaldi
di Spazio Interiore
Pubblicato sul blog il 06/07/2024
Cosa rappresenta, secondo te, il colpo tra le scapole inferto da don Juan?
Ho letto Castaneda in tanti modi, in questi ultimi quarant’anni. Prima con semplice emozione: cioè usando soltanto una normale matita per sottolineare certe frasi.
Poi con devozione: cioè usando matite di diversi colori. Poi sistematicamente: cioè prendendo appunti su un quaderno, come si fa a lezione (e come faceva Carlitos con don Juan). Poi come un manuale: traendone istruzioni da verificare nei miei personali esperimenti di «psicologia del profondo», con i miei don Juan e don Genaro interiori. Oggi provo a pensare che Castaneda sia soprattutto un filosofo, e che appartenga alla categoria socratica.
Alla categoria, cioè, delle menti che amano e si sentono responsabili della società in cui vivono (Atene, per Socrate; gli USA, per Castaneda), ma che hanno visto molto più in là di quel che vedono i loro contemporanei. Il filosofo platonico, quando si accorge di essere arrivato molto più in là dei suoi contemporanei, se ne va all’estero o si chiude in una Accademia: e lì scrive e insegna. L’aristotelico si trova un posto sicuro e ben stipendiato – come Aristotele che fu precettore di Alessandro Magno. Il filosofo socratico, invece, attacca conversazione per strada, insegna non in una scuola ma a tavola, provoca i concittadini, si lascia amareggiare dalle loro critiche, si lascia processare, condannare. Castaneda ha amato, certamente, starsene per conto suo, far perdere le sue tracce per anni: ma lo ha fatto sempre, in qualche modo, in pubblico e per il pubblico, continuando a scrivere best-seller; ed è poi sempre tornato a fare conferenze gratuite negli Stati Uniti, per cercarsi, come diceva, discepoli nuovi.
È utile usare l’avvolgersi di mistero come un atto pubblico, e che sia il più trasparente possibile. Non per nulla, Castaneda raccontava che durante uno dei suoi periodi di “isolamento”, quando era già famoso in tutto il mondo, aveva fatto per mesi il cameriere in un fast-food. Molto socratico, in versione californiana. Ma tornando al colpo sulla schiena (non proprio sulla schiena, ma a qualche centimetro dal corpo), con cui don Juan spostava il «punto d’unione» e la percezione di Carlitos: a mio parere, era un precisa metafora del metodo filosofico di Castaneda. Voleva dire: «Nei miei libri, io ho bisogno di spostare l’«io» dei miei contemporanei. Sto lavorando per loro, voglio che cambino e scoprano di più. Ma se glielo dico, se cioè agisco dentro il loro campo visivo, il loro «io» attuale rimane se stesso. Così faccio qualcosa fuori dalla loro visuale, alle spalle. In modo che siano sorpresi. Come da uno scherzo». E quello che mi colpisce di più, e mi commuove, è quell’avvicinarsi al lettore, per dargli il colpo. Un filosofo platonico si sarebbe limitato a indicare con l’indice. Un aristotelico avrebbe scritto alla lavagna. Castaneda arriva quasi a toccarti. Quasi: perché le parole di un libro non possono toccare il corpo di chi le legge.
Perché Castaneda mentisce sempre?
È bene calcare sul sempre, in questa domanda. Penso che anche don Juan e anche il Messico siano una bugia. Che, cioè, Castaneda non sia mai andato oltre Long Beach, per incontrare i suoi sciamani. E che, naturalmente, per saltare dalla rupe altissima alla fine dell’apprendistato, non ci fosse bisogno di nessuna rupe.
È anche questo un dare un colpo dietro le scapole di un’intera cultura, anzi, di un’intera immagine del mondo. Nella nostra immagine del mondo, le parole servono a indicare fatti, e la sintassi a costruire rapporti tra i fatti. Dal punto di vista di queste altre sintassi, ci si può accorgere che, tipicamente, il nostro contemporaneo trae molte conclusioni, senza rendersi conto che sta semplicemente confermando la sintassi della sua lingua madre. Fuori da questa lingua madre, ci si può invece domandare: «l’universo è davvero incominciato?» e dare così un colpo dietro le spalle a tutta la scienza occidentale – spostandola avanti, se il colpo è ben dato.
A Castaneda importano sia queste altre sintassi, sia ciò che l’individuo è – e non sa ancora di essere – fuori dalla sua «lingua madre» che lo imprigiona. Il mentire castanediano è una ribellione, gentilissima e giocosa, a questa «madre», nella quale diamo tremendamente per scontato che sia vero ciò che le parole dicono e ciò che pensiamo usandole. Per misurare il cambiamento che questo mentire produce nel nostro modo di conoscere, basti pensare a parole come «io», «adesso», «tutto», domandandosi se esistano davvero, se siano «davvero incominciate».
Non è difficile.
Cosa intende Castaneda con il tentativo di aggirare furtivamente l’Aquila ed essere liberi?
Tale aggiramento è il passo seguente a quello che ho appena tratteggiato: così come aggiri la «sintassi della lingua madre», puoi aggirare anche l’Aquila che domina gli universi – e che trae grande vantaggio da quella «sintassi», e dalla consapevolezza che quella «sintassi» impedisce. E il fine dei due aggiramenti può essere vagamente indicato dalla parola «libertà», sempre se si tiene presente che, così come la conosciamo, è soltanto una parola, legata a quella «sintassi».
Personalmente, dalle lezioni castanediane sull’aggiramento penso di aver tratto moltissimo: non so quanto realmente ne ho imparato (con Castaneda, non lo si sa mai) ma molte idee che sviluppo nei miei libri si sono formate a partire da una premessa del tipo: «Dunque, dato che Castaneda dice che…»
In che modo Castaneda incarna l’energia Mebahiah?
Questo ci porterebbe un po’ lontano. Dovrei fare una tirata per spiegare cosa intendo con la parola «Angeli», con il termine «incarnare», e con il termine «energia», e precisare che tutte queste non c’entrano con la fede, ecc. E non è il caso, qui. Stando molto sulle generali, Castaneda dovrebbe essere nato il 25 dicembre, come Mao Tzedong, Sadat, Dioniso, Horo e altre figure ancor più famose. In questo giorno agisce, secondo la Qabbalah, l’«Angelo» MeBaHiYaH (MBHYH). MaBHiYL (MBHYL) in ebraico significa «allarmante», «sorprendente». Qualche evidente corrispondenza c’è, direi.
Tu sei un cacciatore o un sognatore?
Faccio un po’ di pratica in entrambe le direzioni.
Carlos Castaneda era un uomo solo?
Dipende dalla scala geografico-culturale. Se si adotta una scala ristretta, limitata alle espressioni più tipiche della civiltà occidentale negli anni Settanta-Novanta, sicuramente non aveva grande compa- gnia. D’altronde, quando si esce dalla «sintassi della lingua madre» non si può pretendere di essere in comitiva. Se invece si allarga un po’ la visuale, si vedono accanto a Castaneda molti illustri compagni di strada. Qualche anno fa, per esempio, scrivendo un libro intitolato Il Mondo invisibile, mi ero accorto che nel 1974 erano usciti sia L’isola del Tonal, di Castaneda, sia L’altra faccia dello specchio, del razionalissimo Konrad Lorenz: e che la dinamica castanediana tra Tonal e Na- gual, e la teoria lorenziana sulla fulgura- tio e i mutamenti determinati da contatti tra due sistemi diversi sembravano due espressioni di una medesima scuola di pensiero. Ma a quel tempo Castaneda non poteva aver letto il libro di Lorenz, né Lorenz quello di Castaneda. Purtroppo non si conobbero neppure di persona, dimo- doché non ebbero modo di rallegrarsi vicendevolmente per la loro coincidenza di vedute.
Tratto dall’articolo Altre sintassi – Igor Sibaldi su Carlos Castaneda
in Oltreconfine 9 – Castaneda, Spazio Interiore 2013

Igor Sibaldi è l’autore di TRILOGIA DELL’INFINITO, edito da Spazio Interiore nel 2024. Lo puoi acquistare QUI