PERCHÈ FEMMINILIZZARE LA TRINITÀ NON FUNZIONA
di Cynthia Bourgeault
Pubblicato sul blog il 14/12/2024
La prima sfida che ho affrontato nello scrivere questo libro è quella di convincervi che contenga qualcosa degno di considerazione. Per quale motivo si dovrebbe sprecare del tempo con la Trinità, una dottrina che gran parte del mondo (e anche buona parte della Cristianità) considera artificiosa e irrilevante, quando ci sono talmente tante questioni pratiche urgenti che l’umanità deve affrontare sul piano spirituale? Perfino alla teologia è richiesto uno sforzo immaginativo considerevole per poter affermare che la Trinità è sempre stata parte degli insegnamenti originali di Gesù o che essa contribuisce in qualche modo a chiarirli o incrementarli. In effetti, l’eminente teologo del XX secolo Karl Rahner ha affermato che se la Trinità scomparisse senza fare rumore dalla teologia cristiana, per non essere mai più citata, gran parte del mondo cristiano non noterebbe nemmeno la sua assenza.
Per rispondere a questo interrogativo prendendo una strada tortuosa, lasciatemi citare una storia che mi venne raccontata da un mio insegnante e amico di lunga data, il derviscio abcaso Murat Yagan il maggiore. Murat mi riferì che, negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, trascorse un periodo facendo l’allevatore in un angolo remoto della Turchia orientale. Lì divenne amico di un’anziana coppia con cui spesso condivideva il pasto. La vita era stata buona con loro, ma la loro sola tristezza era di aver perso di vista il loro unico figlio, che se n’era andato qualche anno prima per cercare lavoro a Istanbul. In effetti, lui era diventato un uomo d’affari di successo, ma aveva scarsi contatti con i genitori e a loro mancava enormemente. Un giorno, quando Murat arrivò a casa della coppia per il tè, i due anziani, traboccanti di orgoglio, gli mostrarono la nuova credenza che loro figlio aveva appena mandato da Istanbul. Era proprio un bel mobile, e la signora aveva già sistemato il servizio da tè della festa sullo scaffale superiore. Murat era gentile ma anche curioso, e si chiedeva perché mai il figlio avrebbe dovuto sostenere una tale spesa per mandare ai genitori una credenza.
E dal momento che l’evidente funzione di un mobile di quel tipo è fare da dispensa, perché non c’erano cassetti e sportelli? «Siete sicuri che si tratti di una credenza?» domandò Murat. Loro ne erano certi. Quella domanda però continuava a tormentare Murat. Alla fine, proprio prima di congedarsi, domandò ai due anziani di dare uno sguardo più attento alla credenza e con il loro permesso girò il mobile, scoprendo sul retro un paio di assi avvitate e delle ante che una volta aperte rivelarono di contenere una radio ricetrasmittente perfettamente funzionante.
Quella “credenza” ovviamente era stata inviata per mettere i genitori in contatto con il figlio, ma non essendo consapevoli del suo contenuto, i due anziani l’avrebbero utilizzata solamente per mettere in mostra le porcellane. A me sembra che questa storia rappresenti un’impressionante analogia del modo in cui noi cristiani abbiamo utilizzato la Santissima Trinità. È la nostra “credenza teologica”, un mobile sul quale mettiamo in bella mostra le ceramiche più pregiate della dottrina, le nostre preziose dichiarazioni sul fatto che Gesù, un essere umano, è totalmente divino. Quest’uso non è necessariamente una brutta cosa, proprio come non era un male che l’anziana signora avesse disposto il suo miglior servizio da tè in bella vista sul suo nuovo mobile. Ma che dire se, all’insaputa praticamente di tutti, all’interno si nascondesse un potente strumento di comunicazione che potrebbe connetterci al resto dei mondi (visibili e invisibili), consentendoci di aprirci un varco attraverso i molti vicoli ciechi etici e dottrinali del nostro tempo, e di collocare gli insegnamenti di Gesù in un sistema metafisico dinamico capace veramente di sprigionare il loro potere?
Si tratta semplicemente di “girare la credenza” e comprendere che cosa contiene.
Ed è proprio quello che mi propongo di fare in questo libro.
In poche parole, sosterrò che racchiusa nella formula teologica che recitiamo per lo più in modo automatico (Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo) si trova un principio metafisico potente, che potrebbe cambiare la nostra concezione del cristianesimo e darci gli strumenti tanto a lungo e dolorosamente richiesti per riunire i pezzi della nostra frammentaria cosmologia, riaccendere la nostra immaginazione visionaria e cooperare coscientemente alla manifestazione qui sulla Terra del Regno dei Cieli di cui parlava Gesù. Tale principio si chiama Legge del Tre, e la metafisica che ne deriva può essere definita metafisica ternaria.
Io credo che la Legge del Tre sia l’albero motore nascosto del cristianesimo, la cui presenza fino ad ora è stata solo intuita, ma mai esplicitamente identificata dai teologi. Tale legge è nettamente diversa dalle formulazioni speculative della teologia patristica, e anche dalle logore mappe metafisiche della Sophia perennis (“la filosofia perenne”) in cui si innestano quasi sempre le correnti di Sapienza alternative all’ortodossia dottrinale.
Completa, profondamente originale e, come tutti gli alberi motore, riguardante un movimento in avanti, la Legge del Tre è l’autentico temperamento del cristianesimo, la chiave in cui teoria e pratica si uniscono, e in cui tutti gli insegnamenti iniziano a connettersi l’uno con l’altro. Eppure, questo principio è quasi interamente inaudito, non perché sia particolarmente nascosto o sepolto, ma perché la discussione su di esso si è spinta così lontano all’interno di circoli specialistici da essere stata considerata una materia ormai interdetta alla ricerca accademica tradizionale e all’indagine teologica. La Legge del Tre non appartiene a nessun corpus di conoscenze che i teologi generalmente considerano attinente ai loro studi. Non fa parte della teologia patristica o dei fondamenti neoplatonici su cui poggia tale teologia. Non è nemmeno parte dell’ermetismo cristiano classico o della grande tradizione della Sophia perennis. E sebbene se ne possano discernere dei barlumi in certe correnti mistiche cristiane (in particolare in quelle del filone di Jacob Böhme e Teilhard de Chardin), è stata articolata soltanto nei primi del xx secolo dall’insegnante spirituale di origine armena G.I. Gurdjieff, e fino ai tempi recenti è stata studiata e trasmessa esclusivamente all’interno della corrente diesoterismo contemporaneo nota come il Lavoro di Gurdjieff. […]
La Legge del Tre, secondo Gurdjieff, insieme alla sua compagna, la Legge del Sette, comprende quelle che egli definisce le fondanti «Leggi di Creazione e di Mantenimento del Mondo». L’intrecciarsi di queste due leggi cosmiche si trova raffigurato nel simbolo dell’enneagramma, le cui nove punte rivelano (a coloro che sono stati adeguatamente iniziati) la direzione e il dinamismo energetico con cui il mondo mantiene il suo moto in avanti.
Durante i dieci anni in cui ho partecipato al Lavoro, abbiamo studiato queste leggi assiduamente, applicandole alla soluzione dei problemi sia ordinari che relativi ai misteri cosmici, e abbiamo danzato tracciando le loro linee nei famosi Movimenti di Gurdjieff. Incidentalmente abbiamo persino sentito dire che la Legge del Tre ha avuto origine nelle profondità delle tradizioni orali della Chiesa Ortodossa d’Oriente e che la misteriosa preghiera del “tre volte santo”, il Trisagion, che recita «Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi» potrebbe effettivamente riflettere un residuo di consapevolezza delle forze primordiali della Legge del Tre. Tuttavia, nessuno di coloro che ho incontrato nel Lavoro di Gurdjieff appariva particolarmente interessato a reintegrare questo potente principio trasformativo nel cristianesimo (molti sembravano pensare che il cristianesimo si trovasse già ben oltre il punto di recupero), e certamente molti dei cristiani che ho conosciuto durante i miei turni quotidiani come ministro episcopale e guida durante i ritiri religiosi erano oltremodo scettici nei confronti di qualsiasi cosa che avesse anche solo un vago sentore di esoterismo.
Così, per lungo tempo mi sono limitata a tenere separate queste due correnti, consentendo alla conoscenza raccolta negli anni trascorsi all’interno del Lavoro di Gurdjieff di informare esclusivamente i miei sforzi personali di risveglio interiore. Sebbene a volte tornassi a chiedermi se ci potesse davvero essere un legame di connessione tra la Trinità e la Legge del Tre, quest’ambito sembrava troppo inconsistente e irto di difficoltà da superare.
A farmi uscire da questo schema di pensiero restrittivo fu qualcosa di totalmente inatteso: un sorprendente disagio che notai di provare riguardo a una delle iniziative teologiche più popolari del nostro tempo, precisamente lo sforzo di rivendicare lo Spirito Santo come una “lei” o persona divina femminile. Motivate da un sincero desiderio di recuperare il “divino femminino” del cristianesimo, molte voci in coro si erano saldamente arroccate attorno a questa reimpostazione al femminile dell’immaginario trinitario, che in effetti aveva una certa giustificazione linguistica al pari di una forte presa a livello archetipico. Come ministro episcopale donna generalmente identificata con l’ala teologica più progressista, rimasi sorpresa nel ritrovarmi ostinatamente contrariata da questa tendenza, ma qualcosa dei miei giorni nel Lavoro evidentemente si stava innescando, mentre iniziavo a realizzare che l’intera nozione di “dimensione femminile di Dio” apparteneva a un sistema metafisico binario, basato sull’equilibrio cosmico di opposti simmetrici, quando invece il contesto metafisico cristiano, per via del suo lignaggio propriamente trinitario, si rifaceva a un sistema metafisico ternario. Ancora non sapevo esattamente che cosa significasse, ma capivo che in quell’accomodamento apparentemente innocuo propenso alla parità di genere, i teologi contemporanei stavano dando una svolta sbagliata e molto grave, rischiando di perdere un inestimabile patrimonio metafisico di gran lunga più importante delle rivendicazioni femministe.Il mio tentativo di dare voce ad alcune di queste preoccupazioni fu messo a frutto con un articolo intitolato Perché femminilizzare la Trinità non funziona, che apparve nell’edizione di Natale del 2000 della rivista teologica Sewanee Theological Review. Essenzialmente, quel testo costituisce il seme dal quale nacque il presente libro.
Con il cuore in gola, presentai la Legge del Tre, introducendola formalmente nella discussione teologica cristiana, e cercai di suggerire una strategia per la quale il lato femminile “mancante” del cristianesimo avrebbe potuto trovarsi semplicemente liberandoci dalle nostre fissazioni sulle tre persone divine e consentendo alla Trinità di confluire in nuove configurazioni, secondo il dinamismo intrinseco nella Legge del Tre, un po’ come avviene quando si gira un caleidoscopio. Da allora molte persone mi hanno chiesto di sviluppare ulteriormente quelle idee. Questo libro rappresenta lo sforzo di mettere insieme i miei insegnamenti e scritti sulla Trinità e sulla Legge del Tre, prodotti negli ultimi dodici anni, e di creare una panoramica unificata del modo in cui funziona la Legge del Tre, del motivo per cui la considero l’albero motore metafisico della Trinità, e del perché è così importante riaffermarla.

L’articolo che hai appena letto è l’introduzione del libro LA SANTA TRINITÀ E LA LEGGE DEL TRE di Cynthia Bourgeault, edito da Spazio Interiore nel 2019. Lo puoi acquistare QUI.