RENDERSI ASSENTI

RENDERSI ASSENTI

INTERVISTA A M.M. JUDAS

A cura di Giovanni Picozza
Pubblicato sul blog il 05/02/2021

All’inizio di gennaio del 2018 ricevemmo una breve mail, non firmata, in cui ci veniva proposto un libro di alchimia trasformativa diviso in tre parti: Oblivium, Rubens e Lux. Ricordo che aprii l’allegato, giusto per dare una rapida occhiata, e nonostante fossero le dieci e mezzo di sera, mi ritrovai incollato allo schermo divorando pagina dopo pagina, rapito dalla bellezza e dalla semplicità di quelle parole che sembravano raccontare qualcosa di profondamente vero e antico. Il giorno dopo risposi alla mail per mostrare il nostro apprezzamento e l’interesse a pubblicare il libro. L’autore ci rispose che era molto contento di pubblicare il suo libro con Spazio Interiore, ma chiedeva come unica condizione di utilizzare uno pseudonimo e di non svelare la sua identità e tantomeno il suo sesso. In un ambiente in cui sei costretto a confrontarti quasi ogni giorno con gli ego ipertrofici degli scrittori o degli aspiranti tali, la richiesta del misterioso autore ci piacque molto e non avemmo alcuna titubanza ad accettarla (sebbene ci domandassimo come avremmo potuto vendere il libro di un autore italiano senza fare presentazioni…).
La via della trasmutazione alchemica uscì nell’aprile del 2019 a firma M.M. Judas, lo pseudonimo scelto dall’autore. Riuscimmo a fare un paio di presentazioni grazie alla disponibilità di Claudio Marucchi, autore di una bellissima prefazione al libro, al quale avevamo fatto leggere il testo in anteprima e ne era rimasto incantato quanto noi. Da allora il libro ha venduto tantissimo (almeno per gli standard di una piccola casa editrice) ed è diventato un vero e proprio caso editoriale all’interno della variegata comunità spirituale italiana. Finalmente M.M. Judas – superando la sua riluttanza – ha deciso di concedere un’intervista per permettere ai lettori di sapere qualcosa di più sul suo conto.
L’ho raggiunto in un paesino del nord Italia. La sua casa, piccola, semplice e accogliente, ha un sapore antico e familiare. Judas aveva cucinato una splendida cena (lasagna e pollo con i funghi), che abbiamo innaffiato con una bottiglia di Bordeaux portata per l’occasione. Quello che segue è un resoconto delle chiacchiere che abbiamo fatto nelle ore seguenti, sotto gli occhi sonnecchiosi dei suoi maestosi gatti.
(Noterai che Judas a volte parla al maschile, altre al femminile… Non si tratta di refusi, ma del suo modo peculiare di sottrarsi alla limitante identificazione di genere. Io, per non sbagliare, gli/le ho dato sempre del lei.)

Può raccontarci come è nata l’idea di scrivere La via della trasmutazione alchemica?
Quando questo libro è nato, non era un libro, ma soltanto una mia esigenza. Ho imparato a scrivere per chiarirmi le idee. Quando ho un dubbio o un problema, mi metto a scrivere un piccolo trattato che riguarda quel dubbio o quel problema. Poi rileggo quello che ho scritto e trovo le risposte. In un certo senso scrivere è per me un modo di darmi le risposte.
Oblivium, la prima parte di questo libro, quella che parla dell’ombra e del femminile, nasce proprio dalla mia esigenza di quel momento di andare a conoscere il mio lato femminile con cui ero in conflitto. Accadde una cosa sgradevole e spiacevole, una sera. Era come se avessi estirpato da me una parte pesante, ingombrante e penosa. Una parte decisamente femminile, se vogliamo dargli un genere. Questa esperienza mi aveva sconvolto, ma allo stesso tempo mi aveva creato uno spazio e un vuoto enormi. Ho iniziato a galleggiare in quel vuoto. Ho pianto tanto… Sentivo questo distacco doloroso, anche se comprendevo che era un bene liberarmi da quella zavorra ingombrante. Poi sono andato a dormire e quando mi sono svegliato all’alba, questo vuoto c’era ancora, si era ampliato. Era gigantesco, immenso, e sapevo che se avessi indugiato, avrei potuto anche perdermici… ma non era per niente spiacevole, anzi era bellissimo galleggiare in quel vuoto, e così decisi di perdermi. E fu mentre ero perso in quel vuoto che iniziai a scrivere. E alla sera avevo scritto Oblivium. Raccontava gli aspetti magici e meravigliosi di quest’ombra, questa parte oscura, femminile. Quando finii di scrivere lo rilessi e compresi tante, tante cose di me.
Per questo motivo dico che quando iniziai a scrivere, non stavo scrivendo un libro. Stavo scrivendo per aiutarmi a comprendere, come ero solito fare. Però quel vuoto era ancora lì e mi rendevo conto che quello che avevo scritto era parziale, il lato ombra appunto, e che c’erano altre cose di me che volevo comprendere. Così decisi di approfondire e di esplorare anche il lato maschile, che ho chiamato Lux, per poi andare a scandagliare quella grandissima terra di mezzo che divide in modo netto, come una linea di confine, il maschile dal femminile. Infatti, per ultimo scrissi Rubens. Solo in quel momento compresi che probabilmente avevo iniziato a scrivere un libro. E da lì diventò tutto più difficile, perché nel momento in cui iniziai a scrivere nella consapevolezza che qualcuno avrebbe potuto leggerlo, divenne più complicato far emergere quella parte profonda che parla al posto mio. Subentravano inevitabilmente l’ego e le aspettative di un eventuale lettore e dovetti fare un grosso lavoro su di me, anche con una certa violenza, per poter rientrare in quello stato che in modo così spontaneo e naturale aveva partorito Oblivium. Per il resto, si è scritto da solo.

Ha scritto un Manuale di discesa nell’ombra. Qual è il suo rapporto con l’ombra e con la paura?
Fino a qualche tempo fa ero convinto che l’ombra e la paura fossero la stessa cosa, ma da qualche parte dentro di me sentivo che non era del tutto vero, come fosse una di quelle cose che ti hanno inculcato da piccolo, senza nessuna spiegazione. E così, non senza timori, decisi di andare a controllare di persona, scendendo volontariamente nell’ombra per vedere effettivamente cosa ci fosse. Ben presto il timore mi lasciò, quando compresi che in quei luoghi l’unica cosa che occorre sono la prudenza e il rispetto per il territorio in cui ti trovi. Il timore possiamo tranquillamente lasciarlo in superficie. Così diventai un cacciatore di demoni, dei miei demoni, per poi scoprire che questi non mi suscitavano affatto paura. M’incutevano vergogna. È stata una scoperta incredibile per me. Nell’ombra ho trovato le cose che mi facevano vergognare e non quelle che mi facevano paura. Se esiste qualcosa di peggiore della paura è proprio la vergogna, più dannosa e subdola. Della paura ho un grandissimo rispetto: è la soglia per il coraggio. Il coraggio è conseguenza della paura. Può esistere la paura senza il coraggio, ma non può esserci coraggio senza una paura attraversata. Ma la vergogna… la vergogna ti costringe a trovare un nascondiglio.

Pratica l’alchimia?
L’alchimia come trasmutazione interiore incessante è in un certo senso lo scopo spontaneo che ha preso la mia vita, inizialmente per necessità. La trasformazione avviene ogni volta che tradisco e uccido una parte di me. Il tradimento è parte importante di ogni buon lavoro di trasmutazione. Considero la coerenza deleteria e pericolosa. Questo tipo di tradimento e di omicidio di una parte di noi è difficilissima la prima volta. Ma basta che funzioni una volta, una volta sola basta. Poi diventa più semplice, anche se semplice non è proprio la parola corretta. Ma sai che è fattibile, sai che puoi farlo. Che puoi farcela. Anche perché la prima volta, beh… la prima volta affronti il demone della soglia, il più potente e pericoloso di tutti.

Cito dal suo libro: «Gli studi di magia aiutano tantissimo, ma se ti sei connesso di nuovo, in realtà non ne avrai bisogno. Ti lascerai guidare e inventerai i tuoi riti e le tue cerimonie, adeguati a ogni momento e applicabili a ogni cosa. Se solo ti fidassi di te, potresti farlo». Qual è il suo rapporto con la magia?
Non pratico nessuna magia “ufficiale”. Non l’ho studiata in modo approfondito, non ne ho competenza, eppure la magia nella mia vita c’è sempre stata e ha sempre funzionato. La mia magia personalissima… Faccio delle cose che mi vengono spontanee, pratico dei riti in certe occasioni con delle finalità precise, ma anche in quei casi, qualunque gesto io faccia o parola io dica, semplicemente arriva in modo naturale. Non so se questa possa chiamarsi magia, eventualmente possiamo parlare di magia autodidatta. Non ho un grimorio, diciamo così… però, come tutti, ho il mio lato femminile, quello che sa.

Perché ha chiesto di pubblicare il libro in forma anonima?
Avevo premura di tenere a bada il mio ego. Sentivo il bisogno di farlo stare tranquillo. Per buona parte della mia vita ho cercato, e anche fortemente elemosinato, attenzioni, ottenendo ovviamente l’esatto opposto. Pubblicare un libro con il mio nome avrebbe sicuramente attirato attenzione, anche solo da parte di amici, parenti, conoscenti… e sentivo di non potermelo permettere. Amo la mia solitudine, in tutte le sue forme, e tendo a proteggerla. Forse sono a un punto della mia vita in cui sono geloso della mia intimità.

Su chi si celi davvero dietro il nome di M.M. Judas si sono sentite le ipotesi più diverse. Secondo alcuni Judas è uno scrittore famoso, già conosciuto nell’ambiente “spirituale”, che per qualche motivo ha deciso di non apparire con il suo vero nome. Altri ritengono che lei sia in realtà Claudio Marucchi, l’autore della prefazione de La via della trasmutazione alchemica, che quindi avrebbe fatto un’introduzione a un’altra versione di se stesso… Perché ritiene che i lettori siano interessati alla sua identità, che in fondo ha poco a che vedere con il contenuto del libro?
Sì, ho letto alcuni commenti… Pensavo che scegliere di non svelare la mia identità mi avrebbe fatta passare inosservata, invece sembra che la cosa abbia suscitato una certa curiosità. Mi pare in generale che questa scelta di non apparire sia stata apprezzata. Per alcuni invece è risultato fastidioso, quasi fosse un inganno. Avevo messo in conto questa possibilità, ma per me sarebbe stato più ingannevole usare il mio “vero” nome, che alla fine non racconta nulla di realmente… utile. A nessuno interessa la tua storia, ma a qualcuno potrebbe interessare la tua esperienza. È quello che ho cercato di fare, raccontare la mia esperienza, al di là della mia storia.

Perché ha scelto Judas come pseudonimo? Ci può svelare il significato di quella doppia M.M.?
M.M. Judas è un nome androgino. M.M. è femminile e Judas maschile. Judas l’ho scelto perché è il traditore per antonomasia. Fin da giovane (ho studiato a lungo le Scritture) a me stava simpatico. Lo trovavo a dir poco coraggioso e non mi tornava il disprezzo riversato sulla sua figura. Io provavo, al contrario, un certo rispetto.
M.M. sta per Maria Maddalena. Tempo fa lessi il Vangelo di Maria Maddalena. Si legge velocemente, sono poche pagine, quindi lo lessi e poi lo rilessi e poi lo rilessi. Infine, lo chiusi nella consapevolezza di non aver capito nulla, come è giusto che sia. Però una cosa mi incuriosiva moltissimo, un gesto che lei ripete spesso. Ogni volta che M.M. sta per iniziare a parlare (quindi a insegnare: in quel contesto era una maestra accreditata da Gesù a insegnare ai discepoli, agli apostoli), prima di farlo si tira su un velo sulla testa, una specie di mantello, fino a coprirsi completamente. Praticamente parla al di là del velo. Quel gesto cominciò a ossessionarmi. Pietro non lo faceva, Giovanni non lo faceva, nessuno dei “maschi” lo faceva, solo lei. Comprai una serie di libri di autori che analizzavano il Vangelo di Maria Maddalena, ma nessuno di loro faceva riferimento a quel gesto che a me incuriosiva tantissimo. Ne parlai anche con alcuni amici studiosi, ma le spiegazioni che mi fornivano non mi convincevano. E quindi decisi di andare direttamente alla Fonte, e per farlo scesi nei meandri della mia immaginazione per recarmi a parlare con un personaggio femminile che ero solita incontrare. E feci la mia domanda: «Perché Maria Maddalena si vela ogni volta che sta per parlare?» In quella specie di visione, quella figura femminile mi sorrise sorpresa, come a dire: «Ma come? Non l’hai capito?» Ricordo di aver quasi provato imbarazzo. «Ciò che è femminile viene dall’invisibile» mi disse. Ed eccola la risposta, così semplice eppure così celata. Quando arrivò il momento di scegliere un nome per Judas, quell’M.M. – che per me significa semplicemente “donna velata” – mi sembrò il connubio perfetto. Creai anche un sigillo per l’occasione.

Resta anche il mistero sulla sua “identità di genere” (che brutta espressione!). Il libro è scritto al maschile, ma a un certo punto la narrazione passa al femminile. Ovviamente lei sa bene se è nato o nata in un corpo maschile o femminile e ho accettato la sua richiesta di non farle domande su questo. Le posso almeno chiedere se, al di là del sesso, si sente più maschio o femmina?
Il maschile e il femminile sono fasi che si alternano. Dipende da cosa voglio fare, o da cosa devo fare, dalla situazione in cui mi trovo. A volte prevale il lato maschile e a volte quello femminile. E in certi felici fortunati momenti coesistono. Momenti rari… Se dovessi proprio dare una risposta, direi che come imprinting prevale di più il mio lato maschile. Questo per quanto riguarda l’approccio al mondo, alla vita, ma se la domanda riguardasse le mie preferenze sessuali, potrei dire di essere ordinariamente etero.

Qual è la sua passione più grande?
Rendermi assente, annullarmi e scrivere. Lasciar parlare quella parte profondissima di me che sa un sacco di cose che io non so. Ci tengo a sottolineare che non si tratta di “canalizzazione”, come si sente spesso dire oggigiorno. Io vengo posseduta nel momento in cui me ne vado, ma resta pur sempre un me stesso più ampio, che sta in un altrove. Questo è importante. Si parla sempre di essere presenti nel qui e ora, ma penso che la presenza sia fraintesa. Le mie esperienze straordinarie di solito le vivo nella mia totale assenza, non nella presenza. Quando io me ne vado, allora tutto può arrivare.

Quanto di lei e del suo vissuto c’è in ciò che ha scritto nel libro?
Il libro è la storia del mio viaggio. Niente di più e niente di meno. Anche nei dettagli più insignificanti, ci sono io. Non c’è nulla di inventato. C’è una parte in cui racconto di aver dormito sotto le stelle, in un giaciglio. È tutto vero. Quando ero molto giovane, per cause di forza maggiore mi sono ritrovata a dormire per strada. Dunque, ognuno ha il suo viaggio e nessun viaggio può essere uguale a quello di un’altra persona. Ma in ogni viaggio ci sono le tappe, che in qualche modo ci accomunano. Il viaggio è sempre solitario e individuale e in questo libro racconto il mio, ma quello che credo possa interessare il lettore non è il mio viaggio in sé, ma le tappe, che sono comuni a tutti. Cosa sono queste tappe? La vita, la morte, l’amore, il tempo, la paura, la forza… Queste sono le tappe da cui non possiamo esimerci.

Qual è il suo rapporto con gli animali?
Il mio rapporto con gli animali riguarda la magia. Specialmente con il gatto, traditore per antonomasia, il rapporto è di connessione magica. Tutti gli animali sono grandi maestri… Ho due gatti che considero davvero tra i miei grandissimi maestri. In questo momento uno di loro ti sta palesemente corteggiando… Il gatto è un maestro traditore, perché non si fa alcun problema a tradirti e a tradirsi.

«Ho passato interminabili notti a parlare con le stelle, grandi compagne della mia solitudine, e con un dito ho tracciato infiniti sentieri nei notturni cieli di ebano che, da una stella all’altra, mi hanno condotto a me. Ricordo ogni parola di quelle conversazioni, ma sopra ogni altra cosa ricordo l’intimità che sempre più mi legava a me stesso». Dal suo libro si capisce bene che lei sembra avere un ottimo rapporto con la notte, con la solitudine, con le stelle. Cosa c’è di così bello nella solitudine?
La solitudine è l’unico momento in cui puoi davvero guardarti dentro e, se sei fortunato e se ti sei preparato, puoi anche avere dei veri e propri incontri con te stesso. Brevi, molto brevi, ma in quelle dimensioni il tempo non è importante. E questo me lo hanno insegnato proprio le stelle. Nel senso che ci parlo davvero con le stelle… Quando faccio quei miei viaggi in cui incontro dei personaggi, questi personaggi sono stelle, oppure possono essere alberi, dei grandissimi maestri che hanno una visione straordinariamente ampia del cosmo, dell’universo, dell’essere umano, dell’essere in generale, e vivono contemporaneamente nelle dimensioni di altezza e profondità… Le stelle invece vedono tutto dall’alto e quando ho cominciato a parlare con loro mi si è aperto un mondo altissimo, in cui più si sale, più il giudizio scompare. E nell’assenza di giudizio non c’è posto per la paura.

Dal suo libro si evince che lei conosce bene il tai chi e le arti marziali. C’è anche una bella citazione di Bruce Lee…
La vita mi ha portata a ricevere il massimo nutrimento dalle briciole. In realtà non ho praticato a lungo il tai chi, solo per qualche mese. Mi aveva appassionata moltissimo, mi apriva orizzonti incredibili… semplicemente ho capito subito cosa stessi facendo e ho quest’abitudine: nel momento in cui credo di aver capito quello che c’era da capire, lascio andare e passo oltre. Quindi la mia esperienza col tai chi non è stata lunga, ma è stata intensissima. È capace di ampliare in pochissimo tempo l’energia personale di chi lo pratica. Anche se l’ho abbandonato, mi è rimasto nel cuore. Così è successo con lo yoga, con lo studio dei mantra e con tante altre discipline incontrate lungo il cammino.

Ha mai pensato di uccidere qualcuno?
Più o meno un milione di volte… È stato uno dei primi demoni che ho incontrato quando sono scesa e ho provato una profonda vergogna per questo mio desiderio… magari non proprio di uccidere qualcuno con le mie mani, ma di vederlo morto, di augurarmi che morisse al più presto. L’odio riguarda profondamente l’essere umano, e noi possiamo decidere di guardarlo e farci i conti, fino ad arrivare possibilmente a farci sopra una risata… Non credo ci sia nulla di male a pensare queste cose, al contrario, credo sia deleterio desiderare una cosa del genere e nasconderla, o peggio, negarla ai nostri stessi occhi. È così che ci si ammala.

Le piace la parola perdono?
Ho fatto un lungo viaggio con questa parola… quando ero molto giovane facevo parte di un ordine religioso di stampo profondamente cristiano. Ho aderito a questo gruppo per tanti anni e alla base del cristianesimo c’è il perdono, quindi sono stata in un certo senso indottrinata all’esercizio del perdono, eppure c’era qualcosa che non mi tornava… Il perdono mi sembrava qualcosa di falso. Non è possibile decidere di perdonare qualcuno e credo di aver capito cosa sia il perdono nel momento in cui sono riuscita a non perdonare una persona che odiavo profondamente, fin da quando ero una ragazzina. C’erano dei conflitti tremendi con questa persona e più cercavo di innescare il sistema del perdono, più la frustrazione saliva, insieme alla consapevolezza – sbagliata – di essere una persona cattiva. Ci ho provato in tutti i modi e in qualche occasione mi sono anche illusa di esserci riuscita, ma era sempre una cosa falsa perché a un certo punto l’odio, inevitabilmente, riemergeva, debitamente accompagnato da una serie di sensi di colpa. Fino a quando non mi sono abbandonata al non perdono, nel senso che mi sono immaginata questa persona… ho fatto emergere tutto il mio odio per lei, e ho deciso, compreso e accettato, che non ero capace di perdonarla. Il perdono non poteva essere un atto di volontà. Ed è stato in quel momento di non perdono che mi è scattato qualcosa dentro e quella persona ai miei occhi si è completamente trasformata. Il rancore ha iniziato a scemare, l’odio a scomparire fino a quando sono addirittura arrivata a desiderare di sentire questa persona, l’ho cercata, l’ho chiamata, ci siamo viste. Da quel momento è stato tutto più facile: il non perdono ha fatto il miracolo. Il non perdono è l’accettazione della nostra fragilità. Mi riservo il diritto di non perdonare insieme a quello di sbagliare. Questo mi costringe ad accettare il fatto che anche gli altri possano sbagliare. A nessuno serve il mio perdono, è questo il mio senso di non-perdono.

Judas, lei ha paura della morte?
In un certo senso no. Ci ho fatto proprio amicizia con la morte e non ti nascondo che in certi momenti l’ho desiderata, l’ho chiamata, l’ho aspettata. E non è arrivata. Sono abbastanza pronto… so che è dietro l’angolo continuamente, sono pronto ad accoglierla a braccia aperte. Poi è ovvio che quando arriverà il momento… chi lo sa! Ma non è un pensiero che mi angoscia. Vedo la morte come una sorta di signora gentile. Il rendez vous è ignoto per tutti.

Cosa fa nel suo tempo libero? Cosa le dà piacere?
Cucinare. Oserei dire che sono un ottimo cuoco, o almeno mi piace pensarlo. Cucinare è stata la prima forma di alchimia che ho scoperto, fin da giovanissimo. La trasformazione del cibo col fuoco. Un singolo cibo lo puoi trasformare in mille modi. Quando da ragazzino andavo a funghi e trovavo un porcino, mi si apriva un mondo! In quanti modi si poteva fare? Sott’olio? Un risotto? Un sugo? Lo faccio seccare sulla grata al sole? O crudo a fettine sottili in un’insalatina? Con una scaloppina o con una bella polenta? Arrostito su una bruschetta? O affondato nella panna a condire una pappardella? Ma no, lo passo con burro, scalogno e prezzemolo e ci rompo sopra due uova. Ah… ora mi tocca trovare un tartufo! Se non è alchimia questa… Cucinare mi affascina e mi rilassa. Lo considero un atto d’amore, specie se lo faccio per qualcun altro. Mi piace moltissimo leggere. E ovviamente scrivere. Invidio e ammiro chi sa dipingere, sono proprio negato, ma credo sia un ottimo modo per… viaggiare. Quindi mi limito ad ammirare i dipinti, ovvero i viaggi, di altri. Non ho molte pretese, nel senso che sono abbastanza abitudinario, fin troppo, e a volte combatto con la mia attrazione per la routine. L’ozio è per me come un caro amico e, quando posso, coltivo l’arte del perdere tempo, questo mi porta a non annoiarmi mai. Non comprendo quelli che si annoiano perché non hanno qualcosa da fare, trovo fantastico non avere niente da fare. Attenzione, non lo sto disegnando come fosse un pregio. Sto solo dicendo che per me è così. Per il resto, mi alzo al mattino, vado a lavorare, torno a casa, cucino qualcosa, leggo un libro e vado a dormire. Per questo non è stato facile scrivere le note sull’autore… non mi annoio mai ma potrei risultare noioso.

Che cosa la fa irritare di più nelle persone?
L’intolleranza. Non riesco proprio a comprendere quando mi trovo davanti a una persona palesemente intollerante, che addirittura lo ostenta, che si tratti di sesso, religione, modi di vivere… è qualcosa che non capisco e che mi rende intollerante. Fondamentalmente e paradossalmente, sono intollerante all’intolleranza.

Ha mai rubato?
No.

Neanche un pacchetto di gomma?
Be’, sì! Da piccola, del cioccolato. Mi hanno beccata subito, al supermercato… La vergogna è stata tremenda, ma non ho smesso di farlo per la vergogna. Non sono capace di farlo, è tutto qui! Non sono in grado di appropriarmi di qualcosa che non mi venga donato o che non mi sia guadagnato. Non potrei mai sentire mia quella cosa.

Le piace il suo lavoro?
Assolutamente no. Ogni mattina per andare al lavoro devo indossare una divisa, e questo già di per sé è orribile. Quando arrivo al lavoro ho una divisa e devo timbrare un cartellino che identifica il mio nome, il mio numero di matricola (porco mondo, sono immatricolata come la mia auto!!!) e il mio ruolo. Inoltre, devo essere gentile, sorridente e accondiscendente, anche quando chi ho di fronte è sgarbato, o semplicemente stronzo. Ma sono bravissimo a farlo. Al mattino indosso la mia maschera, e vado. Non mi piace e non posso non detestarlo. Ma a volte è divertente. Quando guardo il mio numero di matricola, per esempio, poi guardo la mia collega, il suo numero di matricola e il suo sorriso stampato. E io conosco quella persona, so che fuori da lì ha dei sogni, dei progetti, so che ha desideri infranti e grandi ambizioni… so che combatte contro una malattia, che desidera un figlio, che fa il possibile per mandare avanti una famiglia che ama, che è stata abbandonata troppe, troppe volte, che non ce la farà a reggere il peso di un altro inverno, che crollerà, si rialzerà, piangerà… e alla fine rideremo insieme, come sempre, magari in mensa mentre commentiamo quello che abbiamo nel piatto e che non abbiamo il coraggio di portarci alla bocca. Insomma, quando un uomo senza divisa incontra un uomo con la divisa… spesso non sa che dietro quella divisa c’è una vita. È difficile capirlo, è difficile crederlo, a volte è difficile anche solo intuirlo. Per questo devo dire che, per quanto mi pesi quella divisa, mi ha insegnato moltissimo. Non mi piace, ma ha e ha avuto una sua utilità, per la mia vita e per la mia esperienza personale.

Cosa ne pensa di quello che sta succedendo al nostro pianeta?
Ecco una cosa che mi irrita profondamente! Quando sento parlare di voler salvare il pianeta… salvare il pianeta… il pianeta non ha bisogno di essere salvato. Noi siamo in pericolo, non il pianeta. Diciamo di voler salvare il pianeta, in realtà vogliamo salvarci noi. Niente di male, niente di strano, solo la solita, stravagante tendenza a distorcere la realtà. Siamo noi a voler essere salvati, il pianeta se la caverà. Il pianeta ci mette un soffio a spazzarci via tutti, allora sì che sarà salvo. Dopodiché si prenderà i suoi due, cinque, dieci milioni di anni per rigenerarsi. Non saremo noi a distruggere questo pianeta. Eventualmente ci autodistruggeremo o lo farà il pianeta quando sarà stanco di noi. Noi abbiamo problemi con il tempo, non certo il pianeta. Io non ce li ho dieci milioni di anni per rigenerarmi. Il pianeta, invece, sì. Detto questo, tanta ammirazione, tanti ringraziamenti e tanto sostegno a tutti coloro che si adoperano per migliorare le cose, purché sia chiara la vera motivazione: salvare l’uomo, non il pianeta.

Cos’è la fortuna?
Un’illusione. Come la sfortuna. Qualcosa arriva, qualcosa va’… la vita non ha nulla a che vedere con la fortuna o il suo contrario.

Cosa non è illusione?
Guardare in faccia le molteplici realtà nel bene e nel male. Questo ci porta fuori dall’illusione.

Che cos’è la libertà per lei?
La più alta espressione d’amore. Libertà e amore per me sono la stessa cosa. E penso si possa essere liberi in qualsiasi luogo, anche dietro a una sbarra. La libertà è una questione mentale, non fisica.

Ha figli?
Una figlia.

Qual è la cosa più importante che ha insegnato a sua figlia?
Che la libertà è una grandissima forma di amore per se stessi, in primis, e per gli altri, di conseguenza. In realtà non è ciò che le ho insegnato, è solo ciò in cui credo… e lei sa che ci credo davvero. Avrà le sue esperienze e farà i suoi conti. Magari un giorno mi insegnerà qualcosa di importante che non sapevo, che non avevo capito, che non avevo scoperto. Aspetto quel giorno, perché significherà che le ho insegnato a cercare, non a trovare. Trovare è una questione troppo personale. Nessuno ce lo può insegnare. Ma se le avrò insegnato a cercare… se il mio continuo cercare l’avrà in qualche modo contaminata… non posso chiedere di più. Spero abbia il coraggio di essere più selvaggia di me nelle sue ricerche.

Osservando la realtà che la circonda, secondo lei l’umanità in che fase si trova? Nel nero, nel rosso o nel bianco? In che direzione ci stiamo muovendo?
Le fasi sono mischiate e sovrapposte tra loro, per come la vedo io… La direzione non la so e non la voglio sapere. Mi piacciono le sorprese.

A lei piacciono le persone?
L’umanità mi piace. Amo l’umanità, perché è astratta. Invece con le persone ho qualche difficoltà… a relazionarmici. Amo la gente ma non sopporto le persone. Non sono molto socievole, potrei anche ammettere di avere una punta di sociofobia, nel senso che quando in una stanza ci sono tre persone, per me è già una stanza affollata.

Che cosa desidera per il suo futuro?
Questa è la domanda più tremenda che si possa fare a un essere umano. La verità è che non lo so. L’unica cosa che posso dire, se penso che sia una domanda fatta al mio me bambino, è che da grande voglio fare lo Chef!

Desidera essere felice?
Sai, se tu facessi questa domanda a Billo, il mio gatto master, ti riderebbe in faccia. E ti direbbe che la felicità, per quelli che stanno su due zampe, è fraintesa e di conseguenza sopravvalutata. Io sono felice, in alcuni momenti (Billo lo è più o meno sempre, perché non ha le mie seghe mentali). Non credo sia uno stato da raggiungere o che possa essere permanente. La felicità arriva a ondate e se sei nella giusta traiettoria te la godi. Vivo i miei momenti di felicità, ma non aspiro a essere felice, per il semplice fatto che, come tutto quanto, non è una costante. Provo a dire una cosa molto complicata nella speranza di non essere frainteso: nella tristezza ho costruito mondi meravigliosi, che non credevo possibili. E che non avrebbero potuto essere tali in assenza di tristezza, di nostalgia, di mancanze, di abbandoni, di bugie e di compromessi. Desidero quindi essere felice? Sì, almeno quanto desidero soggiornare nelle mie tristezze, così fragili, così dense, così ignote e così… umane.

So che sta scrivendo un altro libro. Dal momento che scrive per trovare delle risposte, può dirci quali domande l’hanno spinta a rimettersi all’opera?
La prima domanda è stata: e adesso? Quando ho finito di scrivere il manuale di discesa nell’ombra avevo la sensazione di aver detto tutto, poi c’è stata l’emozione della pubblicazione e tutto ciò che ne consegue. Ma non è passato molto tempo dalla domanda che segue: ho ancora qualcosa da dire? La risposta era scontata e gli argomenti non mancavano, e nel mentre arrivava il covid. Il mio lavoro si svolge all’interno di un ospedale e sono stati mesi pesanti, difficili, a volte insopportabili, a livello fisico ed emotivo. I turni raddoppiavano, come le ambulanze e i carri funebri in un via vai senza fine. Era come se la vita di tutti fosse stata sospesa in attesa e nella speranza di tempi migliori. Speriamo bene, speriamo bene, queste due parole riecheggiavano ovunque, tra i reparti, nei parcheggi, per le strade, nelle case… speriamo bene. E intanto la gente moriva, e moriva sola. Speriamo, speriamo bene, non sentivo altro. Nel frattempo, i colleghi cominciavano ad ammalarsi, le strutture inizialmente non erano ancora preparate e allora, in attesa che toccasse al prossimo, riecheggiava l’ormai noto mantra: speriamo… speriamo bene. Una sera arrivai a casa esausto, completamente senza forze, e mi ritrovai a pensare: speriamo bene. E fu lì che capii. Ero stato contagiato. Capii che c’erano due malattie che dilagavano nel mondo in quel momento: il covid e la speranza. Sul covid non ho nulla da dire, se ne sentono già abbastanza… ma sulla speranza, oh sì… avevo affrontato dentro di me il demone della speranza tempo prima. E così, nel bel mezzo della pandemia, rispolverai le mie competenze e smisi di sperare. La speranza è legata alle aspettative come una muta di cani impazziti è legata a una slitta. Prima o poi ti schianti. Perché l’esito di una vana speranza è la disperazione. Se devi attraversare l’inferno, la speranza va lasciata fuori, lo scrive il sapiente Dante, lo incide sulla roccia. Non sperare equivale a non disperare e una vita senza speranza non è affatto una vita triste e vuota. Al contrario! L’abbandono della speranza va di pari passo con l’accettazione della sofferenza, l’accettazione della sofferenza può essere compresa solo da un cuore profondamente umano, che non ha paura di fare i conti con i limiti, con le ingiustizie e con le imperfezioni del mondo. Dell’uomo. Di questo parlerà il mio prossimo libro, dell’andare a cercare il bambino che c’è in noi, e di convincerlo del fatto che c’è un che di magico nella fragilità e nell’imperfezione. Una volta convinto, potrà concedersi di esserlo. Se nel libro precedente si trattava di far incontrare il femminile con il maschile, in questo libro si narra dell’incontro tra l’adulto e il bambino, che coesistono in ognuno di noi.

M.M. Judas è l’autore di LA VIA DELLA TRASMUTAZIONE ALCHEMICA, edito da Spazio Interiore nel 2019, che puoi acquistare QUI

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