RISVEGLIARE IL POTERE E LA MAGIA DEL FEMMINILE
ESTENDERE IL CUORE IN BASSO
di Emanuele Mocarelli
Pubblicato sul blog il 20/11/2020
Magia e potere della Dea è un libro sull’anima mundi, un vero e proprio manuale di ecologia magica, nel quale Gareth Knight non si limita a cartografare compiutamente le costellazioni archetipiche, i mitologemi, le vicende e i testi tradizionali sulla Dea. La sua ambizione è di aiutarci a capire la serietà della posta in gioco, per sviluppare un sentire immaginativo che operi una trasformazione radicale della nostra relazione con la vita della Terra:
«Tramite il lavoro creativo con l’immaginario della tradizione, possiamo risvegliare e riallineare le nostre energie. Possiamo quindi liberare i nostri schemi prestabiliti di energia e iniziare a lavorare all’interno di una cornice di realizzazione che ha un grande potenziale di trasformazione interiore. Infatti, noi letteralmente ci immaginiamo di essere chi siamo. Ed è soltanto attraverso una cultura di avidità organizzata, indifferenza verso gli altri e cecità materialistica che ci siamo immaginati chiusi in una specie di isolamento antagonistico, in cui ci sentiamo soli e non amati dentro a un universo alieno. Tuttavia, se utilizziamo la nostra immaginazione per aprirci al glorioso splendore nascosto che ci circonda, possiamo svelare che questo senso di isolamento è un’illusione. Allora scopriremo un mondo fatto di molti esseri e molteplici realtà. E lavorando con la luce e il potere insito nella Terra, che nel corso della storia si è rivelato tipicamente con un immaginario femminile, siamo in grado di aprirci alle energie intrinseche di questo Oltremondo, attraverso il quale possono avvenire dei cambiamenti notevoli, che riguardano non solo noi, ma anche il pianeta nella sua vastità».
Opera centrale nella carriera dell’Autore, la Dea nasce nel contesto del processo di «esternalizzazione delle attività magiche» che caratterizzò gli anni Settanta del secolo scorso, traducendosi nella nascita incalzante – al di qua e al di là dell’Oceano – di gruppi che offrivano percorsi di formazione “iniziatica” a un pubblico sempre più vasto, in buona misura basandosi proprio sul pionieristico lavoro di divulgazione compiuto da Knight nel decennio precedente mediante la pubblicazione e l’edizione di testi, e la creazione di riviste. Egli stesso, dopo vari esperimenti, aveva ampliato la propria sfera di influenza diretta come istruttore fondando una vera e propria scuola, il Gareth Knight Group, nel 1973.
Tale stato di cose si riflette nell’invito ricevuto da parte di Dolores Ashcroft-Novicki a tenere la conferenza principale per la prima conferenza annuale di uno di questi gruppi, i Servants of the Light, nell’ottobre del 1978. L’intervento di Knight proponeva un’analisi dell’Asino d’oro di Apuleio come chiave privilegiata per la comprensione del Misteri di Iside, e a detta dell’Autore, fornì il primo impulso alla stesura del testo che il lettore ha tra le mani. Il progetto iniziale si arricchì e prese forma laboriosamente, negli anni seguenti, grazie all’approfondito lavoro preparatorio e soprattutto all’esperienza di conduzione di una serie di seminari intensivi condotti da Knight presso il Hawkwood College, istituzione steineriana con cui il Nostro aveva avviato da tempo una collaborazione informale, che – in virtù del successo ottenuto – divenne sistematica. Il nesso tra quei seminari e i temi che attraverseranno di lì a poco le pagine della Dea risulta evidente dagli argomenti affrontati, quasi una sorta di indice dei “rami” del trattato, oltre che una ricapitolazione delle aree di ricerca dell’Autore nel decennio Settanta del secolo scorso. Li passerò in rassegna, nella speranza di facilitare per questa via il lettore interessato ad accostare non superficialmente il testo, tanto piacevole e di facile lettura – grazie alla pregevole traduzione di Mariavittoria Spina − quanto ricco di implicazioni.
Il seminario Hawkwood del 1980, intitolato Il lavoro occulto di Dion Fortune, fu dedicato a una rilettura critica complessiva delle opere della celebre esoterista inglese, al cui insegnamento Knight ritornò costantemente, nell’impegno di metterne in luce le specificità e di salvaguardarne i tratti genuini anche attraverso la pubblicazione di edizioni rivedute criticamente e di inediti; il seminario si concentrò in particolare sulle opere narrative La magia della luna e La sacerdotessa del mare.
Nel 1981 Archetipi arturiani – Il ritorno del Re riprendeva le sollecitazioni generate da The Arthurian Formula, testo canalizzato da Fortune nel 1941/42 e ampliato da Margaret Lumley Brown negli anni Cinquanta, per farne la base di una tappa importante nella formazione magica degli iscritti alla Society of Inner Lights, fra cui il giovane Knight stesso, che della Society fu prima adepto e poi bibliotecario.
Il 1982 fu la volta di una “avventura rosicruciana” incentrata su Le nozze chimiche di Christian Rosencreutz di Johann V. Andreae, letto in parallelo a un nutrito nucleo di testi del xvi e xvii secolo nei quali giunse a maturazione in chiave alchemica il pensiero magico rinascimentale, intrecciandosi alle sollecitazioni utopiche della nascente scienza sperimentale e alle aspirazioni di riforma politica e sociale diffuse nell’Europa lacerata dalla Riforma, dalla Controriforma e dalla guerra dei Trent’anni: l’anonimo Rosarium Philosophorum sive pretiosissimum donum dei; la Monade Geroglifica di John Dee (1564); l’Anfiteatro della Sapienza Eterna di Heinrich Khunrath (1609); Atalanta Fugiens di Michael Maier (1617); il Monocordo Macrocosmico di Robert Fludd (1617); Lumen de lumine di Thomas Vaughan (1651); infine, La Chiave di William Law (1714), opera che forniva un’approfondita interpretazione della filosofia di Jacob Böhme (1575-1624), e che ebbe a lungo un ruolo determinante per divulgarne le visionarie intuizioni nei Paesi anglofoni. Knight annota una considerazione che il lettore farà bene a tener presente, addentrandosi nelle pieghe del presente trattato:
«Il segreto nel lavorare con questi antichi testi pittoreschi è di non speculare intellettualmente sul loro significato, ma di entrare con tutto il cuore dentro il loro immaginario evocativo. Vale a dire che le immagini di cui sono intessuti non sono tanto illustrazioni di un testo oscuro, ma porte di accesso all’esperienza interiore».
Il seminario del 1983 fu dedicato a I misteri di Iside ed ebbe un percorso molto travagliato, specialmente durante le sessioni di lavoro magico di gruppo dedicate a Il mistero dell’arca lunare, durante le quali si manifestarono interferenze che Knight ricondusse all’affioramento di energie derivanti da aspetti deviati e caotici della spiritualità “atlantidea”. Come nel seminario del 1981, l’intento era di entrare in contatto con antichi strati del sedimento immaginale Occidentale, ancora vitali ma deformati e compressi dal tempo, ravvivandone gli influssi benefici – se tali – o estinguendone quelli malefici. Il rapporto di Knight con le vestigia della spiritualità ancestrale, anche quando egli indossa letteralmente le vesti di mago, non è mai ispirato a un senso di supina e reazionaria riverenza, ma nasce da un’esigenza di studio e di comprensione che coniuga profondo rispetto a doti di sensitività e immedesimazione severamente allenate, senza perdere consapevolezza storico-critica. Non si tratta di “perpetuare” alcunché, in ossequio al principio del tradizionalismo patriarcale, ma di prendere coscienza delle forze ataviche che contribuiscono a determinarci, per integrarle, trasformarle e gestirle, o – quando necessario – liberarsene mandandole in ombra. Nel passato sono le nostre radici, ma sono ereditarie anche molte tare e deviazioni spirituali.
Il seminario del 1984, intitolato La porta fiammeggiante, dedicato ai Misteri celtici e alla loro “distillazione” dentro i Misteri del Graal, fu preceduto da un importante viaggio in Grecia su invito del gruppo Iamblichos; in compagnia della moglie Roma, sempre più attiva nel ruolo di channel accanto a lui, Knight fece esperienza di una serie di importanti sincronicità (ad Atene, a Epidauro, a Micene) che lo condussero alla rivalutazione del rapporto di interdipendenza tra la tradizione eleusina e le tradizioni nordeuropee.
Il seminario del 1985 – infine – intendeva sviluppare un’indagine sugli aspetti iniziatici delle opere di C.S. Lewis (1898-1963), noto al grande pubblico soprattutto per Le lettere di Berlicche e altre opere di divulgazione teologica dall’inconfondibile accento tra ironico e autobiografico, per i romanzi di fantascienza che compongono la “trilogia dello spazio” e per le Cronache di Narnia. Lewis diede vita tra gli anni Trenta e Quaranta del ’900, insieme agli amici J.R. Tolkien, Charles Williams e Owen Barfield, al gruppo letterario degli Inklings, accomunati dal progetto – di notevole impatto sull’immaginario contemporaneo, grazie alla fortuna editoriale delle opere maggiori e alle successive trasposizioni cinematografiche – di dare forma a un “mondo magico” che sviluppasse nei lettori una familiarità con la dimensione nascosta e potente dell’immaginazione creativa. Non credo di sbagliare affermando che la frequentazione precoce delle opere degli Oxford Christians ebbe un impatto centrale non solo sulla formazione interiore di Knight, ma anche sulla sua poetica, come risulta evidente dal registro narrativo discretamente fantasy di molte delle dinamiche mentali che costituiscono il fulcro della sua proposta di operatività magica, anche nel libro che stiamo presentando. È questo un punto di forza del suo lavoro, avendone facilitato la diffusione, ma forse anche un limite per chi abbia predilezioni estetiche differenti. A testimonianza della fertilità di questa stagione di lavori ad Hawkwood, nella quale Knight mise a fuoco le traiettorie future della sua ricerca, smarcandosi sempre più decisamente dai confini un po’ angusti dei temi e dei linguaggi tradizionalmente occultistici, di lì a pochi anni egli consegnerà alle stampe un ampio studio proprio sugli Inklings, e vedrà ricompensata la sua passione precoce da una lusinghiera prefazione a firma di Barfield che dichiarava: «A causa della combinazione di informazione, comprensione e intuizione su cui si fonda, The magical World of the Inklings è più che notevole. Non è paragonabile a nient’altro che io abbia avuto modo di leggere». Knight era convinto che Lewis fosse in segreto un occultista, ma giunse alla conclusione che – a differenza di Barfield, strenuo difensore degli insegnamenti di Rudolf Steiner, e di Williams, mistico rosicruciano – non avesse mai praticato una vera e propria attività magica. In tutti i casi, il seminario del 1985 prese una piega inaspettata – come spesso accadeva nel lavoro dell’Autore, pronto ad ascoltare e ad assecondare le energie del contesto – durante la sessione ispirata a Il viaggio del veliero, terzo libro delle Cronache di Narnia, che
«per ragioni difficili da spiegare, si sviluppò come una evocazione degli archetipi di epoca Tudor incentrati sulla regalità (tramite la Regina Vergine, Elisabetta I), sulla magia (John Dee), e sulla scoperta del mondo (Sir Francis Drake)».
Abbiamo così esaurito una rassegna – sia pure non esaustiva – delle sorgenti che alimentano i vari rami della seconda parte di Magia e potere della Dea. I libri nati dalla vita sono pieni di energia e di promesse: e continuano a provocare chi li scrive, prima ancora che il lettore. È stato infatti un libro fortunato questo: tra i più amati dell’Autore, che volle riprenderlo in tre tappe successive, perfezionandolo e cambiandone il titolo da La Rosa Croce e la Dea, a Evocare la Dea, al presente Magia e potere della Dea.
Non mi dilungherò a descriverne la struttura. È utile però notare l’asimmetria tra la prima parte, relativamente breve, dedicata a istruzioni approfondite per la costruzione e l’attivazione del Cerchio magico, e la seconda, assai ampia, dedicata alla “evocazione della Dea”. La scelta di porle sullo stesso piano mira a sottolineare l’importanza di mettere in pratica la premessa, costruendo un proprio modello simbolico dell’universo, prima di addentrarsi nella selva simbolica del testo. Si tratta di accendere il fuoco, per solo in seguito viaggiare, illuminando con luce propria le valli segrete dove si intrecciano alle nostre le radici del mondo. Che siano le antichissime saghe precipitate intorno alla carriera eroica di Perseo; la peregrinatio erotico-mistica della commedia isiaca di Apuleio; le vette della purissima Amante invisibile del Medio Evo cristiano, pronuba degli sponsali celesti; le liturgie alchemico-barocche di Cristiano Rosacroce; o i mondi delle fate, alla ricerca del monte Analogo tra Avalon e l’Himalaya: Knight non si stancherebbe mai di tessere le volute della sua spiraliforme “evocazione”. Al lettore è richiesta una postura sempre in equilibrio tra lo stupore infantile, necessario per accogliere le risonanze incessantemente suscitate, e la distanza osservativa del cercatore, senza la quale si resta sospesi in una nube fosforescente di belle immagini. Denso di letture e di studio, questo è tuttavia un testo caparbiamente autoriale, e nella sua lussureggiante opulenza, incalzante come il resoconto di un esploratore o il programma di viaggio di una guida turistica; forse noi, che lo leggiamo a distanza di trentacinque anni dalla prima edizione, e abbiamo nel frattempo appreso l’importanza – e avuto il dono – di tornare umilmente a scuola dalle donne e dagli uomini di sapere delle comunità ancestrali, avvertiamo la mancanza di amplificazioni e percorsi intorno a Pachamama – la Madre Terra Inca – ad esempio, o a Mami Wata, la dea sirena amica dei serpenti. Tanto più giusto che Magia e potere della Dea arricchisca il catalogo di Spazio Interiore, la casa editrice che più si è impegnata nell’avvicinare il pubblico italiano alle pratiche e alle visioni delle culture antropologiche d’oltreoceano, come testimonia l’importante elenco di titoli pubblicati nella collana nonordinari.
Non è soltanto il costante esercizio della “immaginazione secondaria”, praticata e insegnata nella convinzione che da essa dipenda molto del nostro futuro individuale e collettivo, a inserire Knight nella “corrente calda” dell’esoterismo occidentale. In questo libro egli rivendica con determinazione per l’uomo il ruolo di copula mundi caro alla filosofia Rinascimentale. È infatti privilegio e dovere specifico dell’animal rationale quello di suscitare, attraverso l’intensità del proprio desiderio e l’adesione erotica alla vita, la risposta dell’Essere Planetario, che solo in questo modo può evolvere:
«Non si contatterà mai la Terra se ci si trova sempre nel lavorio dei propri pensieri. Bisogna sentire, desiderare e volere per raggiungere questo legame. Non si tratta esattamente di pregare. La preghiera è un’elevazione della mente fino a Dio. Qui però non stiamo parlando di elevare la mente fino a Dio nei Cieli, bensì di estendere il cuore in basso e raggiungere l’Essere Planetario, che potenzialmente è Dio in Terra. E sebbene l’Essere Planetario sia più grande di noi, è anche minore rispetto a noi che possiamo farlo avanzare molto nella sua crescita spirituale».
Non può sfuggire la connotazione cabalistica di questo tema: come ricordava incisivamente Gershom Scholem a Eranos, il tikkun, «che in ebraico significa insieme perfezionamento, correzione, rettifica (sebbene non dobbiamo dimenticare che tikkun significa anche e semplicemente allestimento, organizzazione, disposizione) […] in un certo senso non reintegra veramente un’idea della creazione voluta sì originariamente, ma mai realizzata, ma piuttosto le dà espressione per la prima volta». In questa prospettiva, l’azione sacra dell’uomo «non si limita a riconoscere la grandezza della creazione e del creatore: riordina e fa qualcosa, in essa, che appartiene alla sua completa unità e che senza questa sua operazione resterebbe latente». D’altra parte non è possibile escludere che questi temi emergenti nel contesto cabalistico derivino da quella corrente della riflessione teologica medievale – soprattutto francescana – che scioglieva almeno sul piano teorico l’Incarnazione di Cristo dal legame con il peccato dell’uomo. Questa visione ha come fondamento scritturale l’inno cristologico della lettera ai Colossesi, nel quale il Figlio incarnato è detto «immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose […] Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,15-16). Per Duns Scoto, in particolare, motivo dell’Incarnazione è la gloria di Dio, cioè il desiderio da parte di Dio di condividere la propria beatitudine con qualcuno – l’uomo – che sia simile a Lui, cioè libero, e quindi capace di assumere le responsabilità di co-creazione implicite in questa scelta. Non si può sottovalutare la centralità di questo tema, che impone di rileggere a fondo il senso della redenzione, in ultima istanza liberandolo dalle interpretazioni espiatorie che la filosofia occidentale ha rigettato già con Kant, e tanto più con Nietzsche. Questa visione mina alla radice la dottrina agostiniana del peccato originale, o della colpa primigenia, imprescindibile baluardo di ogni teocrazia patriarcale e delle sue narrazioni colpevolizzanti. Senza dubbio Knight scrive qui alcune delle sue pagine più ispirate:
«È questo il vero significato dell’evoluzione. Crescere e contribuire alla crescita di ciò che ci ha creato. La consapevolezza di questa responsabilità è particolarmente importante per coloro che aspirano ad aprirsi ai livelli più profondi di se stessi nel lavoro esoterico o affine. Tanto più che la crescita della civiltà urbana e lo sviluppo della mente materialista finora hanno teso ad atrofizzare la capacità immaginativa, grazie alla quale si può percepire come opera l’intenzione divina nella vita sensoriale più facilmente di quanto sia possibile attraverso i filosofeggiamenti intellettuali. Di conseguenza, gli umani non anelano più ad apprendere l’opera di Dio e ad adorare il creatore attraverso gli istinti e la natura animale. Il genere umano si è tagliato fuori dal profondo amore genitoriale di Madre Terra. In questo senso, la natura “superiore” dell’umanità ha molto da imparare dalla personalità che si esprime nel mondo. E molti tra coloro che si sentono attratti dall’occultismo o dagli ordini religiosi di clausura non sono necessariamente delle anime “avanzate”, bensì anime che non riescono ad accettare e ad assimilare l’esperienza degli istinti e delle emozioni inferiori attraverso la vita nel mondo».
Anche l’insistenza sull’estendere il cuore in basso, verso il “lato interiore della creazione”, deriva in ultima analisi da un’intuizione geniale della cosmologia zoharica, per la quale il creato emana da un punto di luce centrale, mentre la tonalità decisamente platonica dell’emanazionismo luriano tenderà a sopprimere questa teodicea dell’immanenza, allineandosi alla tradizionale cosmologia spiritualista, dove la luce si addensa e oscura “scendendo” verso la Terra. La luce è dentro le cose:
«Si tratta di assumersi la responsabilità degli effetti che si hanno sugli altri, i quali si estendono oltre i confini del regno umano. Precisamente, gli altri comprendono Dio nei Cieli da un lato, la sua creazione in Terra, l’Essere Planetario, e tutti gli esseri viventi, animali o elementali, che hanno il destino di condividere questo pianeta con noi. Sta a noi sforzarci per rendere quel destino non un orrore ma una benedizione. Un modo, come abbiamo cercato di indicare in questo libro, è equilibrare gli elementi interni, e coltivare l’influenza civilizzatrice dell’eterno femminile ai suoi vari livelli, dalle vette dei Cieli alle profondità della Terra, con al centro la mediazione dell’amore umano».
«Questo lavoro richiede un’altra dimensione della coscienza. Tale dimensione può essere raggiunta attraverso l’utilizzo attivo dell’immaginazione. Essa non coincide affatto con l’oziosa fantasticheria. Infatti, attraverso questa facoltà creativa divina e donata da Dio, cioè l’immaginazione creativa, si può ottenere una percezione oggettiva di una realtà maggiore e complementare rispetto a quella fisica. Ciò richiede anche ampiezza di vedute e grandezza d’animo. Coloro che riveriscono la natura e il mondo naturale, compresi i suoi aspetti interiori, devono tendere alla percezione di quelle grandi forze spiritali che trascendono la natura stessa. E coloro i cui cuori dimorano nella dimensione trascendentale devono arrivare ad amare il mondo naturale e i profondi poteri in esso racchiusi, negli elementali, negli archetipi e negli dèi, che siano creati o meno dall’uomo. Il punto di incontro e fulcro di questo potente asse tra Cielo Profondo e Terra Profonda è nel cuore umano. In potenza, il cuore umano ha la capacità di contenere tutto, per quanto meschina e miserabile possa apparire la sua capienza che si riflette nelle condizioni del mondo, in cui la disumanità dell’uomo contro l’uomo stesso affligge innumerevoli migliaia di suoi simili, per non parlare degli animali e delle altre creature alla mercé dello sfruttamento umano».
La sfida – con il suo rischio, e la sua opportunità – è tutta nelle mani del lettore.

L’articolo che hai appena letto è la prefazione del libro MAGIA E POTERE DELLA DEA di Gareth Knight, edito da Spazio Interiore nel 2019, che puoi acquistare QUI