WILD WILD GURU
Intervista a Subhuti Anand Waight
di Spazio Interiore
Pubblicato sul blog il 09/12/2021
È il 1976 l’anno in cui Peter si trasferisce in India ed entra a far parte dell’ashram di Bhagwan Shree Rajneesh (poi noto come Osho), diventando un sannyasin con il nuovo nome di Subhuti Anand Waight.
Giornalista politico affermato e con una promettente carriera, Subhuti abbandona l’illusione di una vita agiata e tranquilla per immergersi in un percorso di ricerca interiore e spirituale al seguito del più controverso mistico di tutti i tempi. Da allora e per i successivi quattordici anni vivrà e lavorerà prima nella comune di Pune e successivamente al Rajneesh Ranch in Oregon, dove sarà protagonista degli eventi che condurranno alla creazione della città di Rajneeshpuram in qualità di direttore e fondatore del The Rajneesh Times.
La straordinaria esperienza di questo viaggio viene narrata all’interno della sua opera Wild Wild Guru, che oltre a ripercorrere e chiarire i conflitti e le tensioni che si scatenarono a Rajneeshpuram con gli abitanti e i politici della zona e all’interno della comunità stessa di sannyasin, permette anche di scoprire i meravigliosi insegnamenti del mistico, le sue riflessioni, i suoi inviti alla libertà attraverso i racconti delle meditazioni, dei darshan di energia, dei gruppi di lavoro.
Attraverso la sua esperienza intima e personale, Subhuti ci regala un punto di vista ravvicinato capace di ribaltare le nostre comuni presunzioni riguardo alla meditazione, alla spiritualità, alla religione e alla moralità con un libro istruttivo, divertente e illuminante.
«Questa è la storia della mia danza con un folle» leggiamo nel post scriptum di Wild Wild Guru. «Ognuno vede Osho a modo proprio, per cui voi, cari lettori, avrete la vostra prospettiva personale. E il modo in cui vedete Osho tende a riflettere chi siete, perché alla fine Osho è soltanto uno specchio. […] Se deciderete di agganciarvi a lui, tutto ciò che posso dire è: «Godetevi la corsa e fate attenzione alle buche».
Tornato al lavoro di giornalista freelance, scrittore e ghost writer dopo la morte di Osho e la fine dell’esperienza comunitaria, Subhuti ci ha concesso un’intervista in cui risponde divertito ad alcune nostre domande.
Sono passati diversi anni dalla morte di Bhagwan e dalla fine della vita all’interno della comune. Com’è stato ritornare alla vita “normale” dopo un’esperienza così unica e intensa? Hai ancora rapporti con alcuni dei sannyasin che hanno condiviso l’esperienza con te?
Ad essere onesti, non sono mai tornato alla vita normale! Dopo la morte di Osho, sono rimasto in India negli anni ’90 e poi oltre, nel nuovo millennio. Ho visto scomparire la comune, mentre l’ashram di Pune si trasformava in un resort, e ho anche trascorso del tempo a Goa, Rishikesh, Dharamshala e Tiruvannamalai. Ora vivo più in Europa. Quasi tutti i miei amici continuano a essere sannyasin. Alcuni, come Aneesha Dillon, li conosco da molto tempo. Altri amici sono ricercatori relativamente nuovi che non hanno mai incontrato Osho mentre era “nel corpo”, ma che si sentono attratti dallo stile di vita sannyasin.
Mentre eri all’interno della vita nella comune in Oregon, come vivevi il rapporto con tutto quello che accadeva fuori? C’era un dialogo o il vostro rappresentava un mondo a parte?
Nel Ranch in Oregon sono stato il creatore del nostro settimanale, The Rajneesh Times. L’ho visto come un ponte tra la nostra comunità spirituale e il mondo esterno. Ho pensato che il giornale potesse aiutare a spiegare il nostro modo di vivere e la nostra visione. Ma gradualmente ho capito che questi due mondi non avrebbero mai potuto incontrarsi davvero. Come disse una volta il poeta inglese Rudyard Kipling: «L’est è l’est e l’ovest è l’ovest, e i due non si incontreranno mai». Certamente questo era vero per l’Oregon e per Osho!
Come consideri il documentario Wild Wild Country di Netflix? Ci sono informazioni che mancano o che non sono sufficienti a comprendere il valore di quella esperienza? Consiglieresti un filtro da usare nel guardarlo?
Mi è piaciuto guardare Wild Wild Country. Ovviamente, per avere successo come serie mainstream, doveva concentrarsi sul dramma e sui crimini. Non è andato in profondità su Osho e il suo lavoro. Non ha mostrato l’eccitazione e l’entusiasmo che abbiamo provato tutti nel costruire l’Oregon Ranch. Ma comunque mi sono divertito a guardare la serie. Penso che offra un invito alle persone a guardare più in profondità. Solo poche persone coglieranno questa opportunità. È nella natura delle cose del mondo che solo una piccola minoranza sia interessata alla meditazione e ai mistici.
Qual è il ricordo più vivido che hai di Osho o la prima immagine che ti viene in mente quando lo senti nominare?
Deve essere la sera del 9 marzo 1976 quando ho incontrato Osho per la prima volta al darshan serale e ho chiesto di essere iniziato come suo sannyasin. È stato fantastico sedersi di fronte a lui e sentire che mi dedicava la sua totale attenzione: al cento per cento, qui e ora, presenza totale! Tutto il resto intorno a me è scomparso ed eravamo solo io e lui, connessi oltre lo spazio e il tempo. Per la prima volta ho capito cosa vuol dire essere in presenza di un essere illuminato. L’avevo già visto nei discorsi in video, ma l’impatto dell’incontro personale è stato molto più forte.
Giocando a un infantile gioco della personalità, potresti dirci tre qualità e tre difetti di Bhagwan?
Il primo errore che ha fatto Osho è stato accettare la sfida di aiutare altre persone a svegliarsi! In India, ci sono molte storie di esseri illuminati che semplicemente restavano in silenzio. Molti meno problemi per loro! Ma a Osho piaceva creare guai, si divertiva a stuzzicare le persone e distruggere le loro maschere sociali, quindi direi che per lui era sia una qualità preziosa che un difetto, allo stesso tempo. Il suo secondo errore è stato la generosità con cui ha dato il sannyas a tutti, rivolgendo liberamente il suo invito ai cercatori di tutto il mondo, permettendo a chiunque di diventare suo discepolo, me compreso. Ma sono contento che lo abbia fatto, quindi, ancora una volta, per lui è stata una qualità preziosa e un difetto. Il terzo errore di Osho è stato decidere di andare negli Stati Uniti, ma sapeva già che gli americani non lo avrebbero mai capito e che sarebbe stato pericoloso per lui, quindi, ancora una volta, era sia una qualità preziosa che un difetto. A proposito, il suo desiderio più profondo era quello di creare una comune sull’Himalaya, ma in qualche modo non è mai successo.
Qual è il più grande insegnamento che ti ha lasciato Osho e l’intera esperienza al suo seguito?
Essere ordinario. Essere umano. Essere naturale. Accettare te stesso. Meditare. E assicurarsi di divertirsi!
In Wild Wild Guru racconti come Osho a volte “andasse a trovare i suoi sannyasin” quando loro erano da soli all’interno delle loro stanze. Torna ancora a trovarti? E se sì, in quale forma?
È da un po’ che non faccio un “sogno di Osho” in cui mi da un messaggio personale. In questi giorni di solito si presenta non nella forma di Osho come persona, ma più come una sensazione sottile. Ad esempio, quando scivolo nel silenzio e nel vuoto della meditazione, in qualche modo lo sento, ma è più come un’atmosfera che una presenza personale. Ricordo un episodio molto divertente accaduto negli anni Novanta, quando ero a Pune. Era gennaio e faceva molto freddo. Osho venne da me in sogno e disse: «Indossa un cappello!» Così semplice e così pratico! Mi ha fatto ridere… e sì, il cappello mi ha tenuto al caldo!
Che consiglio daresti a un ricercatore spirituale che desiderasse seguire un maestro per un certo periodo di tempo?
Nessun consiglio. Impara dalla tua esperienza.

Subhuti Anand Waight è l’autore di WILD WILD GURU, edito da Spazio Interiore nel 2021, che puoi acquistare QUI