WILHELM REICH – LA PRESENZA
Intervista a Roberto Sassone
a cura di Andrea Colamedici
Pubblicato sul blog il 10/05/2025
Com’è stato il tuo incontro con il pensiero di Wilhelm Reich?
Inizialmente fui colpito dalle sue ricerche sull’energia orgonica. Ero molto giovane, particolarmente legato al meraviglioso, e Reich mi offrì delle spiegazioni chiare a certi fenomeni energetici che stavo vivendo sulla mia pelle. Successivamente, quando decisi di entrare in terapia da Federico Navarro, il promotore del pensiero reichiano in Italia, Reich non fu più soltanto una persona che diceva cose affascinanti e nuovissime, ma cominciò a diventare un’esperienza tangibile. Il percorso reichiano mi portò ad avere già all’inizio una serie di esperienze di me stesso, cambiando radicalmente il mio sentire e la mia scala di valori. Certe piccole esperienze che avevo vissuto in meditazione le ritrovai anche nel lavoro corporeo: certi momenti di espansione, una quiete profonda, la classica sensazione dello scorrere dell’energia. Queste due vie, l’esperienza bioenergetica e quella meditativa, pian piano cominciarono a coincidere, e cominciai a capire che si trattava di due vie molto complementari, a patto che l’una si servisse degli strumenti dell’altra. In altre parole, la via della destrutturazione del carattere portava al contatto più profondo con il nucleo, mentre la meditazione, partendo dal nucleo, aiutava la destrutturazione del carattere.
Hai detto di aver sviluppato questa meraviglia, questo taumazein iniziale nei confronti di Reich. Ricordi il primo effetto meraviglioso che ti fece?
Sì, ricordo un’esperienza che ebbi in terapia con un esercizio chiamato la medusa, una respirazione profonda a cui viene accompagnato il movimento del bacino e l’apertura delle gambe. Questo acting cominciò a procurarmi delle forti sensazioni di corrente nel corpo, come se avessi le dita in una presa, fino al punto di portarmi alla tetania. Inizial- mente mi spaventai ma poi, lasciando questa energia più libera di fluire, si manifestarono momenti di profonda gioia: si aprì qualcosa nel petto, come se improvvisamente una porta si fosse spalancata verso un momento di profondo silenzio, vicinissimo a quegli stati di meditazione in cui si ha la percezione non di pensare, ma di esistere. Quell’esserci legato non a un’emozione, ma al sentire l’esistenza.
Da Evoluzione 2 di Satprem, il principale allievo di Sri Aurobindo: «La grande chiusa della nuova evoluzione è ormai aperta, lo so. Il passaggio è aperto, lo so, non è più una promessa per i tempi a venire, sta diventando realtà, attraverso tutte le nostre grida, le nostre violenze e incoerenze. Il coperchio d’oro, o di piombo, ormai si è rotto, spaccato in due. Le porte del Sole si spalancano in due, mostrandoci, o facendoci sparire, le mille crepe del nostro edificio in rovina affinché, felice delle proprie ceneri, possa emergere il nuovo». Senti un’eco reichiana in queste parole?
È meraviglioso il Reich che parla dell’uomo nuovo. In libri come L’assassinio di Cristo o Etere, Dio e Diavolo, il suo anelito è chiarissimo: quando l’uomo genitale (termine che a me non piace molto, perché richiama ancora una vecchia interpretazione caratteriale di discendenza psicoanalitica) comincerà a realizzare la vera esperienza dell’uomo, pas- serà in modo naturale dalla morale all’etica, entrando in contatto diretto con le leggi universali della vita. Secondo Reich l’essere umano senza corazza, pulsante di vita, può condurre a una nuova umanità: è questa la comprensione che mi ha permesso di agganciarmi allo Yoga Integrale di Sri Aurobindo.

Ed è in Cristo che Reich vede il prototipo dell’uomo genitale.
Proprio così. È chiaro che per Reich Cristo è una metafora: non è solo il Cristo storico, ma l’esempio di come potrebbe funzionare l’essere umano se non fosse più imprigionato nella propria corazza che distorce la percezione di sé nel mondo. Quest’Uomo è un Archetipo, è il nuovo uomo: non media più l’esperienza di sé e della vita attraverso strutture condizionate, ma ha un contatto diretto, direi quasi di verità, con la vita. Lo stesso Reich, in una frase all’inizio de L’assassinio di Cristo, dice che «la verità è una funzione naturale». La verità, cioè, non come concetto, ma come stato di coscienza.
È una sorta di teologia del corpo?
La parola teologia può essere pericolosa se intesa in senso classico, condizionata da tutta una spiritualità di matrice cattolica e mistica. In realtà, teologia dovrebbe essere tutto ciò che riguarda la conoscenza di quell’essere che sottende ogni manifestazione universale, il vuoto quantico che collega tutte le particelle che costituiscono l’universo. Se lo si interpreta in questo modo possiamo parlare di teologia del corpo come espressione di una manifestazione della coscienza. Entrare profondamente in contatto con il corpo non significa relazionarsi con una parte ben definita di materia. Al contrario, vuol dire entrare in relazione con tutto il flusso universale. Chi è veramente dentro al corpo lo percepisce come una rete di flussi energetici che lo collegano alla Terra e probabilmente, in fasi più avanzate, all’Universo.
Nel Novecento molti ricercatori hanno compiuto grandi scoperte scientifiche legate al ruolo dell’uomo sulla Terra, ma non tutti hanno avuto l’ardire mostrato da Reich. Che tipo di coraggio è richiesto ai ricercatori contemporanei, sulla scia delle esperienze dello scienziato austriaco?
Il ricercatore contemporaneo è molto facilitato perché possiede delle acquisizioni scientifiche, espresse da scienziati molto seri e riconosciuti a livello internazionale, in cui i significato e il modo di funzionare dell’essere umano, inteso come cellula di una realtà più vasta, comincia a essere riconosciuto. Ci stanno arrivando la fisica, la biologia, l’endocrinologia, settori che prima erano lontani da qualsiasi discorso metafisico. Penso a tutti gli studi in cui si vede la relazione profonda durante gli stati meditativi tra i due emisferi celebrali o addirittura tra diverse persone in meditazione i cui tracciati si allineano e si armonizzano, sviluppandosi sulle stesse frequenze senza avere alcun tipo di contatto fisico. La pnei, psicoendocrinoimmunologia, studia e dimostra vere trasformazioni fisiologiche in seguito alla meditazione prolungata nel tempo. Una nuova scienza sta nascendo: è la scienza della Nuova Coscienza. Si respira un’aria nuova, malgrado il disfacimento sociale ed etico così evidente e accelerato, che trova piena conferma nelle parole di Wilhelm Reich.
Eppure Luciano Marchino nella prefazione al tuo libro La ricerca dell’Amore ti dà del coraggioso, perché «Reich è ritenuto da molti un soggetto delirante e socialmente pericoloso». In effetti il mondo accademico è, in maniera quasi compatta, ostile al pensiero reichiano. Perché?
Non posso che constatare nell’ambito accademico un grande bisogno di rimanere attaccati alle piccole certezze. In qualche modo ancora mi meraviglio, perché chi si avvicina a un certo tipo di ricerca dovrebbe essere animato da una curiosità incredibile, da un sacro furore. Come si fa a fermarsi a una conoscenza accademica che è già stata superata decine di anni fa? Ci sono stati dei precursori, come Roberto Assagioli, estremamente stimati negli Stati Uniti e quasi sconosciuti in Italia, oltre a ricercatori geniali come Stanislav Grof, Ken Wilber, Charles Tart, John Pierrakos, Frances Vaughan, Roger Walsh. Wilhelm Reich, in La Psicologia di massa del fascismo, o ne L’assassinio di Cristo, chiarisce molto bene questi meccanismi. L’uomo è in gabbia e, quando si accorge che può uscirne, si spaventa e osanna lì per lì coloro che sono evasi o che ne stanno uscendo. Successivamente li martirizza, perché gli evasi gli ricordano che lui invece continua a rimanere dentro la prigione. È più comodo ucciderli, rimuovendo la consapevolezza della prigione, piuttosto che tentare la grande avventura, fatta di coraggio, di piccoli passi e numerose cadute.
A proposito di amore per la comodità: com’è fatta secondo te la corazza collettiva del popolo italiano?
Non amo le generalizzazioni, ma fondamentalmente la vedo strutturata in due modalità. Per usare vecchi termini, che non uso più neanch’io, da una parte c’è una corazza falliconarcisista e dall’altra una corazza masochista. Sto facendo delle estremizzazioni puerili ma indicative: o c’è l’assurdo bisogno di gonfiare l’ego, di diventare dei pavoni per na- scondere la propria miseria, oppure quella forma di sopportazione e rassegnazione che fa diventare la sofferenza un punto di forza, il «Mi lamento ma non combatto». C’è anche un atteggiamento psicopatico, che è quello più avanzato, di una struttura in cui il potere diventa l’aspetto dominante della propria identità.

C’è una branca degli studi di Reich che merita un approfondimento che ancora non è stato dato?
Sicuramente tutta la parte dell’orgonomia, che andrebbe studiata e ritrascritta. Reich, come ogni genio, si è spinto probabilmente molto oltre le proprie capacità. La tecnologia e gli strumenti che aveva a disposizione non erano sofisticati al punto tale da vidimare le sue scoperte. A me non piace il termine orgonomia, gli preferisco bioenergia, che tra l’altro Reich usava già prima di Lowen. Bisognerebbe rileggere, in un linguaggio diverso e sulla base delle conoscenze attuali, tutta l’orgonomia di Reich. C’è molto da imparare e da scoprire: penso ai lavori sulla pioggia attraverso i Cloud-buster.
A proposito: cosa pensi delle orgoniti e più in generale degli strumenti che si basano sugli studi di Reich?
Confesso la mia ignoranza. Non ho gli strumenti, né la competenza scientifica, per esprimere un mio parere sull’argomento. Di sicuro una mano messa con una certa intenzione, con la percezione del proprio movimento vitale, può agire su un’altra persona con intensità ed efficacia incredibili. Facendo fantascienza, tutto quello che la scienza ha scoperto e scoprirà altro non è che una traduzione in chiave fenomenica di qualità dell’essere umano che prima o poi verranno sviluppate direttamente.
Quali sono le caratteristiche necessarie per far accadere questo sviluppo? Reich teorizza che il corazzamento iniziò circa seimila anni fa, quando l’uomo cominciò a scrivere e a coltivare la terra. Cosa potrebbe portare inevitabilmente alla mutazione?
Sono convinto, anche sulla base di certe esperienze che ho avuto, che la realtà fenomenica della Terra sia inserita in piani di coscienza più estesi, come un lago in cui ci sono libellule, pesciolini e uccelli, ovvero esseri di diverso livello evolutivo che convivono nello stesso habitat. Noi leggiamo la storia della Terra come la storia dell’umanità, ma in realtà tale storia è l’espressione di un movimento più vasto, che si esprime su altri piani che, come gli infrarossi e gli ultravioletti, esistono anche se non li percepiamo. I veri avvenimenti avvengono a livelli cosmici più estesi, e qui si inserisce il discorso che Reich e Sri Aurobindo condividono: la Nuova Coscienza non è altro che un livello già esistente di una manifestazione più vasta, che sta cominciando a diventare una potenzialità evolutiva della razza umana.
Quel che è necessario, nel nostro piccolo, è lavorare molto bene, sinceramente e seriamente attraverso il corpo, al fine di sviluppare questo contatto profondo con la presenza. Ne parla chiaramente Eckhart Tolle: occorre creare uno spazio di coscienza in cui esistere senza essere catturati dai contenuti della mente, creando la possibilità di vivere una consapevolezza di sé su tutti i piani della propria esistenza. Non è la mia struttura che mi fa esistere, ma sono io a esistere attraverso la mia struttura. Se ho la percezione di esistere posso mettere questa coscienza profonda in tutte le funzioni naturali che mi rendono uomo: nella mente, nel pensiero, nella percezione corporea. Cambia il punto di vista: sono io che dò senso alla vita, sono io che dò senso a me stesso. Sono io che animo le mie emozioni. Questo tipo di ricerca presuppone un’onestà e un impegno incredibili: non è un lavoro per mistici o per esaltati, né per chi vuole fuggire dalla vita. È facilissimo scadere nella New Age, in tutte quelle forme di fuga dalla vita che vengono passate per spiritualità.
Quali sono gli equivoci creatisi attorno al concetto di sessualità per Reich?
La concezione che Reich ha della sessualità è globale, nel vero senso della parola. Direi anche, in qualche modo, tantrica, benché lui, credo, non conoscesse il Tantra. Il primo equivoco consiste nel credere che Reich abbia affermato che per potersi liberare dai blocchi una persona debba avere molte relazioni sessuali. Nella concezione reichiana la sessualità è la conseguenza di un recupero del contatto profondo con se stessi: una persona imprigionata in una struttura caratteriale corazzata e congelata non ha la capacità di vivere l’abbandono completo a sé e all’altro, né la capacità di amare profondamente. Persino il suo piacere è legato alla dimensione dello sforzo e del risultato: non è la conseguenza di un arrendersi di tutto l’organismo al flusso della pulsazione vitale, ma sta solo compiendo quello che Reich definisce, senza mezzi termini, chiavare. C’è la violenza, il piacere per il piacere, e non l’essere in piena armonia con se stessi. Prima bisogna raggiungere questa armonia, recuperando il contatto profondo con la propria pulsazione vitale e sciogliendo i condizionamenti che ci impediscono di vivere una vita piena. Quando questo comincia ad avvenire, allora si sperimenta la sessualità come movimento d’amore. C’è una vera e propria fusione: è la dimensione orgastica.
Cos’è l’orgasmo in Reich?
Un cambiamento di stato di coscienza. Quando ogni limite viene trasceso, quando davvero ci si lascia andare all’impulso profondo del piacere, si entra in una dimensione di contatto cosmico, perdendo la separazione tra sé e l’altro. Non a caso è chiamata, in senso positivo, piccola morte: muore l’ego e ci si ritrova in una dimensione di contatto profondo con il proprio sé psicosomatico e con quello del compagno. Una relazione che non passa attraverso una dimensione d’amore, di accoglienza e di contatto con l’altro, non è una relazione vera. L’argomento della sessualità è inserito in un ambito molto più vasto, perché è l’effetto di un processo di trasformazione dell’individuo. Un recupero della sessualità non è soltanto un recupero del piacere genitale, ma implica naturalmente la capacità di godere della vita, sviluppando un rapporto nuovo con ogni aspetto dell’esistenza.
In questo periodo storico, nonostante gli annunci di facciata, continua a venire soffocata la pulsione sessuale.
Questo rientra in un meccanismo tipico della peste emozionale: gli individui appestati, corazzati, sono nemici della vita e della gioia, perché tutte le manifestazioni autentiche di vitalità gli ricordano la loro mancanza di vitalità. Sopprimono la vita per evitare di entrare in contatto con la loro morte, e questo processo è ancora più evidente nella sessualità: si offre una libera pornografia, che è la sessualità della morte, della violenza, della corazza, che non crea problemi perché è nella logica della peste emozionale. Si evita invece la sessualità come gioia, come gioco, come amore e come fusione, perché questo tipo di sessualità è la sessualità degli uomini liberi. E l’uomo libero non può essere addomesticato, è un pericolo per il sistema. Non a caso sono le chiese, e non certo i maestri originari, a essere contro questo tipo di libertà.
Credi che potrebbe aiutare la trasformazione della famiglia borghese, attraverso cui il potere ha trasformato una struttura archetipale in una sovrastruttura?
Sì, ma questo non può avvenire a livello politico. Ecco un altro discorso fondamentale: se sulla carta tu crei delle strutture per l’essere umano, ma poi in qualche modo chi governa o le gestisce è nella logica del potere e della peste emozionale, queste strutture vengono inquinate e diventano meri strumenti di potere. Tutte le politiche di tutti i tipi sono inutili: è inutile creare strutture se non cambia prima la coscienza dell’uomo. Gli albori della rivoluzione a cui stiamo assistendo lasciano intravedere una rivoluzione della coscienza; ecco perché si comincia a manifestare l’esigenza di una coscienza nuova, più vera, che purtroppo viene a sua volta adoperata e strumentalizzata da una serie di altre organizzazioni, che si definiscono spirituali, che la recuperano nella vecchia maniera; cercano cioè di approfittare di una grande richiesta, con un’offerta di prodotti spirituali che rientrano nella stessa logica appestata da cui vorrebbero uscire fuori. La New Age è diventata la banalizzazione della spiritualità. Molte persone intenzionate a realizzare un serio percorso su di sé incappano in queste strutture, illudendosi di fare un processo di crescita personale e di libertà ma si trovano invece in dogmi o in verità annacquate, in cui la vera aspirazione è morta.
Tratto da Oltreconfine 6, Spazio Interiore 2012

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